MEDUSA di Chiara Cordella (Lupo Editore, collana MINI)


Medusa di Chiara Cordella è una raccolta di cinque racconti dal taglio noir che affonda le radici in una realtà al contempo vicina e surreale. Cinque storie fosche e inquietanti in cui le protagoniste, tutte “normalissime” donne “al limite”, fanno terra bruciata intorno a loro. In questi racconti anabasici il male sembra nascondersi nella quotidianità più che nella straordinarietà degli accadimenti. D’altronde, una delle devianze più aderenti alla follia è la paranoia, intesa come uno stato in cui il delirio è l’elemento essenziale dell’affezione psichica. Quello che fa la Cordella è portare alla luce, con profondo sentire e precisione chirurgica, l’idea che la sostanza della paranoia febbricitante che assale queste donne (il più delle volte sfociante in istinto omicida) risiede in un complesso di elementi connessi a una logica impeccabile e scevra da opposizioni interne. I meccanismi psichici che governano queste menti femminili non appaiono intaccati, tutt’altro, sembrano possedere una capacità di “adeguamento intelligente”, in cui sono fatti salvi i cinque sensi e la criticità nei confronti del mondo esterno. Ciò che però, da un momento all’altro, scatenerà il caos sta dietro l’angolo e può risiedere ovunque nelle zone d’ombre della mente umana. Ed è qui che risiede il tratto più angosciante delle vicende narrate in questo libro: il non sapere mai cosa abita la mente della persona che abbiamo di fronte. A rendere tutto più instabile e incerto è il cambio di prospettiva in riferimento ai soggetti che commettono il misfatto: che non siano uomini ma donne ribalta, almeno in quest’occasione, i tristi dati riguardanti le vittime di violenza. Nel lavoro della Cordella sono le donne, madri, sorelle, mogli, amiche a uccidere, a far del male, a rendere inoffensivi gli uomini che altro non possono fare che subire. Tutto questo è legato ad un senso di terrore e forse ad un principio di seduzione; in fondo, per molti individui, il male è rovinoso quanto affascinante. Anticipatrice della paranoia – la si trova in tutto il suo nero splendore nel racconto Amor vincit omnia – è una condizione nebulosamente surreale, in cui le percezioni sono circondate da una luce impalpabile e bislaccamente ambigua, dove i ricordi/rimorsi/rimpianti di una vita, perennemente attualizzati, s’aggrappano alle esistenze e ne ingravidano i contenuti. Le storie che si dipanano in Medusa affondano le radici nell’apparente inspiegabilità degli eventi, che concede attimi di pura fobia al lettore, rimandando a immagini di una natura archetipica del delirio. Istantanee mentali che sottendono impressioni orrifiche altamente destabilizzanti sia per la personalità delle carnefici sia per quella delle vittime. Ne viene fuori un universo atavico e selvaggio che risulta essere insostenibile per la sanità mentale dei personaggi, che induce inesorabilmente alla rovina ed è accostabile – come suggerito dal titolo della raccolta – al conosciutissimo mito della gorgone Medusa, tremendo essere che pietrificava chiunque incrociasse il suo sguardo. Non mancano tuttavia, in questo profondo abisso, pochi momenti ironici, sapientemente costruiti e centellinati dall’autrice, per ricordare che si uccide con il volto scuro ma anche col ghigno di chi ha fatto del delitto una vocazione o una scelta quasi edonistica. Già, perché esiste anche un’estetica del crimine. E come non coglierla in quelle ambientazioni così locali eppure così universali, dove sembra esistere un processo di riduzione biunivoca tra contingente e necessario? Come non riconoscere negli alberi che abitano l’immaginario del libro quelle chiome mosse dal vento così lynchiane da far rabbrividire, così foriere di sventure? A questo groviglio di situazioni ed emozioni si unisce uno scavare profondo nello strato psicologico (e sociale) che popola la vita dei piccoli centri di provincia, dove un retaggio di cultura arcaica convive con quei materiali di risulta che sono la modernità e il finto benessere; dove superstizione e chiacchiericcio, usanze pregresse e cambiamenti vanno a braccetto e sembrano praticare un’osmosi di valori. Ogni cosa sul filo del rasoio. Non c’è una sola pagina di Medusa che doni calma o tranquillità e, men che meno, sicurezza. Anche i frangenti che appaiono rarefatti non promettono nulla di buono, sono la quiete prima della tempesta, le manovre sotterranee prima della deflagrazione. Il lettore è avvisato: si prepari ad un viaggio sempre sull’orlo del baratro, con il cuore in gola e gli occhi ben sgranati. La scrittura della Cordella, scorrevole e mai impacciata, nasconde all’interno della sua apparente semplicità – che seduce pagina dopo pagina – una complessità strutturale davvero notevole, che non lascia niente al caso e puntualizza ogni singolo dettaglio e ogni minima sfumatura.  Ecco perché quest’opera prima scombina le regole di quel gioco perverso, che vuole l’autore esordiente imperfetto e ingenuamente teso alla ricerca del consenso, per dare nuova linfa alle possibilità della voce-narrativa. Questa giovane autrice ha toccato con Medusa un punto critico di contatto tra storie fuori dalle righe e sostanzialità del tangibile, cui fa capolino l’utilizzo di cognomi realmente esistenti e non di fantasia che stabilisce un filo diretto con la verosimiglianza dei luoghi e delle situazioni. Come dire che se la realtà alle volte supera la fantasia, la scrittura si fa consapevolezza di questa realtà e ne dipinge, senza remore e con una forza espressiva disarmante, tutte le sfaccettature.




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