Spazio e tempo 0.5


"Con l’avvento della moderna scienza matematica della natura il concetto di spazio acquista una realtà sostanziale e autonoma. Cartesio considera infatti l’estensione come l’attributo specifico della sostanza materiale, governata dalle pure leggi meccaniche del moto (meccanicismo). Newton introduce il concetto fisico di “spazio assoluto”, pur ravvisando nello spazio anche una sorta di sensorium Dei, di organo sensoriale col quale Dio imprime nella materia il movimento. Al sorgere dell’età moderna, dunque, influenze fisiche, cosmologiche e teologiche si intrecciano ancora nella concezione dello spazio. Contro la soluzione proposta da Newton si batte peraltro Leibniz, in una celebre polemica col newtoniano S. Clarke. Leibniz nega la realtà oggettiva e assoluta dello spazio: lo spazio è l’ “ordine di coesistenza” dei corpi e dunque qualcosa di relativo e non separabile da essi. Egli nega che lo spazio possa ridursi a mera estensione, essere questa una semplice conseguenza delle forze (“forza viva”) che agiscono nell’universo. Le obiezioni di Leibniz non si limitano peraltro a criticare la concezione fisico-naturale dello spazio newtoniano; esse risentono delle più generali polemiche contro la scienza sollevate dagli empiristi e spiritualisti. In Berkeley e Hume lo spazio si riduce a mera funzione psicologica: sia ad associazione delle idee percepite dalla vista e dal tatto, sia ad associazione di impressioni contigue.
Di qui il grande tentativo kantiano di salvare l’oggettività della scienza newtoniana, senza peraltro postulare uno spazio assoluto in sé. Lo spazio diviene in Kant un a priori formale della intuizione sensibile e cioè una struttura trascendentale (universale e necessaria) di ogni possibile esperienza.
Il tentativo kantiano di tenere unite scienza e filosofia ha poco seguito nell’Ottocento. L’elaborazione puramente concettuale della nozione di spazio tentata nei sistemi idealistici di Schelling e di Hegel (per i quali lo spazio è il modo in cui lo spirito assoluto o idea si aliena nella natura) non influisce sulle ricerche fisiche, che si attengono allo sperimentalismo newtoniano. Anche le critiche degli spiritualisti francesi, da J.-G.-F. Ravaisson-Mollien a H. Bergson (che rivelano l’astrattezza intellettualistica del concetto fisico e meccanico di spazio e propongono invece di concepire la spazialità come un arresto ripetitivo, un’ “abitudine” che si instaura nello sviluppo spirituale della natura), non distolgono la fisica dalle sue concezioni tradizionali. È solo con la rivoluzione scientifica di Einstein che il concetto di spazio torna a essere oggetto di comuni dibattiti tra filosofi e scienziati. In particolare sono A.N. Whitehead, S. Alexander e G.H. Mead a tener conto del concetto einsteiniano  di spazio-tempo e a tentarne una più generale spiegazione filosofica che non sia in contrasto con i risultati della fisica. Nel contempo tuttavia, il concetto di spazio continua a svilupparsi in sede puramente filosofica, presso le correnti della fenomenologia e dell’esistenzialismo, il cui scopo è quello di ricostruire la genesi dell’esperienza vissuta dello spazio. Tale analisi fenomenologica, avviata da Husserl, trova sviluppi in J.P. Sartre, in M. Merleau-Ponty e soprattutto in Heidegger, che considera lo spazio una struttura originaria dell’ “essere-nel-mondo” dell’uomo: l’uomo infatti si costituisce, come coscienza, “incarnata”, mediante un quotidiano “commercio manipolante e usante” con le cose, e la condizione di tale commercio è appunto l’ “esser vicino” e l’ “esser lontano” dell’uomo che si “spazializza” nel mondo e anzi “ha” un mondo come luogo del suo “progettarsi” come esistente".

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