GREENWITCH VILLAGE ICE TEA di Costanza De Cillia (Youcanprint)
“La poesia è morta, ed io ne sto ancora scrivendo”. Così si presenta
questa giovanissima autrice (che qualche tempo fa ho avuto la fortuna di intervistare*).
E così si presenta la sua Greenwitch
Village Ice Tea, raccolta poetica al gusto d’assenzio. Pagine di inaudita
potenza perse in un flusso di vorticosa surrealtà: “Quanta vodka berrai / Per
mettere le ali? / Un sorso / il bacio di un angelo / Ed io ti vedrò scomparire,
/ Lontano, lontano / Ancora più lontano di ora / – perché tu non mi vedi / E
sei sprofondato in te stesso” (Nasdrovie).
Un incipit destabilizzante che si abbatte sul lettore come un martello
d’acciaio. La poesia della De Cillia non è confortante, tutt’altro, i suoi
versi non lasciano scampo e sembrano sottesi da un’acida ironia: “Sei il mio
bel cavaliere / perfetto / O un carnefice che vuole solo / Ammazzarmi?” (ancora
Nasdrovie). In questa silloge non c’è
nulla di scontato, di facilmente decifrabile; tutto sembra muoversi seguendo una
corrente psico-onirica a tratti delirante. Ciononostante la De Cillia non cade
nell’errore (sì, chiamiamolo proprio così: errore!) del viaggio solitario, del
cruccio dell’artista maledetto che gioca a fare l’enigmatico e che quindi nessuno
può comprendere. Al contrario, una buona dose di autoironia salva l’anima
corrosiva dell’autrice e dei componimenti, donando a tutta la raccolta quella
sensazione magnificamente incarnata dal Carmelo Bene del “comico che tutto
distrugge”. Non il comico da cabaret, sia ben chiaro. Ma il comico
sogghignante, quello che gode nello sgretolare qua e là le vitucole di
esserucoli che si credono grandi. Così la De Cillia, con un’incendiaria mistura
di sana disperazione – che non cede mai il passo al patetico e
all’autocommiserazione – e ferma decisione, regala
al lettore qualcosa di amabilmente mostruoso. E per una volta lasciatemi
scomodare un po’ di erudizione latina e sottolineare che il termine monstrum, prima di significare “creatura
mostruosa”, era il fenomeno grandioso, il prodigio, la quintessenza
dell’esaltazione di checchessia. Non basta. Nel delirio poetico tutto è
concesso. Fatta salva l’onesta intellettuale, dote che l’autrice sembra possedere
in tutto e per tutto. Così può essere delirante il suo “La verità ti squarcerà le / tenebre e
il petto / Resterai sola a sanguinare / Sulla terra nuda / - i sensi di colpa
banchettano / già / Sulla grassa carcassa del tuo / spirito umido. / Pregherai
la morte, / E resterai viva, Troppo corrotta
per lasciare / questo inferno” [Liberazione
sadica (un bisturi ti spalancherà il cuore)]; ma nel delirio, quanta
potenza e quanta essenza lirica vengono sprigionate! Un’anima che respira
ancora lo spirito adolescente quella dell’autrice, eppure ne sembra già
distaccarsi per abbracciare un inizio di maturità che qui non equivale a mesta
moderazione o abbassamento dei sensi, tutt’altro. La maturità cui la De Cillia
s’affaccia è quella del frutto maturo, che per giungere al pieno della sua
sapidità va coltivato e nutrito. E scusatemi (mi scuserà l’autrice!) se
chiudendo questa mia psicotica recensione mi vengono in mente Coleridge, Byron,
Baudelaire, Rilke e tanti altri da invitare a banchetto. È “colpa” di questa
silloge. Di queste pagine furiose che fanno trasalire (e sotto sotto
sogghignare!) al pensiero che ‘No! La poesia non è morta!’
A te grato,
Costanza.