Mai più secondo - i versi di Vito Antonio Conte per Luca Pensa Editore



Quando ci si trova davanti alla poesia – quella vera, quella che ad un tempo ti scortica l’anima e t’incendia il cuore – può assalirti la paura di parlarne, di permettersi la recensione, la ‘discettazione su’. No, non è vigliaccheria. È qualcosa di più sottile e profondo, come la paura che ti prende davanti alla persona di cui sei innamorato. Allora temi che lei possa non capire, che possa non  considerarti nemmeno. Di più, che possa farsi scherno di te. Ma corri ugualmente il rischio, e le parli col cuore in mano. E poi ne parli agli altri, perché è troppo l’amore che provi per lei e allora vuoi che tutti sappiano. Ecco, adesso voglio correre questo rischio e parlare della poesia di Vito Antonio Conte. Voglio parlare di questo suo ultimo lavoro, Mai più secondo, edito da Luca Pensa Editore, 2012. L’ho letteralmente divorato in poche ore, ed è bastato quel breve lasso di tempo perché i componimenti presenti nella raccolta (perlopiù brevi e tutti rigorosamente senza titolo) mi aprissero la mente come una lama tagliente e inesorabile e mi sprofondassero nell’anima: “E parlare con le nuvole / Non è esercizio / D’una qualche malattia”. Già, tutto questo non è una malattia, un morbo infestante dal quale tenersi lontani. E se purtroppo non tutti capiscono o hanno voglia di capire l’immensità di quello che appare a metà tra un monito e un suggerimento, di sicuro lo capirà qualcuno dalla vista lunga e dall’orecchio fino, quell’orecchio usato non “ […] soltanto / Per appendervi monili” ma per sentire fino in fondo i mali del mondo e tutto il marcio che c’è in giro, ma anche per afferrare ciò che di buono rimane a questa umana società; qualcuno che andrà oltre il muro dell’odierna ovvietà, così ammogliata al ‘vile denaro’: “Passate pure i giorni / Accumulando ogni sorta / Di cose da spot / Occupatevi solo di quel che appare / Di tutto quel ch’è apparenza / Indebitatevi per ogni stupida materialità / Compratevi il vile denaro […]”. Una terapia d’urto quella di Conte, un agone continuo, una lotta – come lui stesso dice, dedicando la pugna a tutti quelli che mai si piegano – contro ogni degrado: “Quando la televisione / S’è accesa / I neuroni hanno iniziato a spegnersi / (N’è passato di tempo…) / Fate i vostri conti”. I conti, queste strane entità che sembrano non tornare mai, delle volte appaiono invece in tutta la loro semplicità, perché forse l’uomo ci mette del suo per complicarsi la vita e rendere tutto così maledettamente difficile. Allora non è detto che la felicità risieda dove cammina Zaratustra o ‘Where eagles dare’, dove osano le aquile (per dirla con gli Iron Maiden), più semplicemente potrebbe abitare proprio dietro l’angolo, a due passi da noi. Forse sarebbe il caso di rendersi conto che “Piccole quotidiane contentezze / Fanno una vita felice”. Il che non equivale ad accontentarsi delle briciole, a vivere sommessamente ai margini, tutt’altro. Significa invece guardare al reale con occhi nuovi, andare, cercare, scovare ogni singola molecola di vita, ogni goccia di sangue vivo, anche distruggendo il castello di certezze che abbiamo costruito per “riattarne” (parafrasando l’autore) un altro: “E arriva il momento / Di bruciare tutto / Conservando le ceneri / Aspettando un altro tempo / Per trovare il luogo / Dove affidarle al vento”. Il poeta non è e non sarà mai lo specchio delle masse informi che pascolano nei fast food e nei non-luoghi psicologici creati ad hoc dalle griffe, non sarà l’accomodatore di situazioni stantie e fatiscenti o l’appianatoio delle idiozie perennemente mestruanti inflitte a tutte le ore dalla TV e dal giornalettismo d’appendice; men che meno sarà debitore nei confronti di una cultura che in alcuni frangenti sembra essere oscenamente trapassata: “Quando ho iniziato a scrivere / Ero circondato da vecchi / Era un mondo giovane / Adesso è un pianeta vecchio / Dove i vecchi sono archeologia / Sì come il loro sapere”. E se è vero che in Mai più secondo non si cercano risposte che abbiano il valore di diktat esistenziali ma – molto più opportunamente – fluide occasioni di movimento, di ripartenze, di cambiamento, di tentativi (ché tentare bisogna sempre), non possiamo non provare un senso d’insperata potenza, di umano riscatto, di amore per la vita e per la terra alla lettura di queste pagine; e se anche tra le mani non dovesse rimanerci che polvere, poco male, comunque siamo vivi: “Più mi guardo intorno / Vedo ascolto sento leggo / Più mi bruciano gli occhi / (E non solo quelli) / Sempre meno quel che / Resta tra le dita / Ancor meno dimora dentro / E da lì che bisogna ripartire / Perché un altro cielo sia”.
Sì, Vito Antonio Conte, fai bene a ribadirlo: “un altro mondo è possibile”!      



Articolo pubblicato sul numero del 28/11/2012 del quotidiano "Il Paese Nuovo"

                                                                              

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