IO NON SO (l'ultimo testimone) di Isabella Dilavello


Care amiche, cari amici. Per "Spazio Autori" di Linea Carsica, ho il piacere di presentarvi Io non so (l'ultimo testimone) di Isabella Dilavello, riduzione da un testo portato in scena per il Giorno della Memoria di quest'anno. Buona lettura.



Io non so cosa sia accaduto davvero.
Io non c’ero quella notte in cui ogni cosa è andata in frantumi e uomini oscuri hanno fatto risuonare le loro suole dure sul selciato bagnato di acqua piovana e sangue
e hanno divelto porte e hanno trascinato via carni deboli e spaventate di uomini, donne, bambini come fossero cartaccia e paglia.
Io non ho visto amici e vicini di casa in fila, lungo la strada, mentre si agitavano e gridavano “Era ora! Fuori di qui!” e “Non abbiamo bisogno di voi nella nostra città!”, “Dobbiamo liberarci di tutti voi!” io non ero lì.
Io non ho sentito le urla, i “perché io” , “dov’è mio figlio, dov’è il mio amore, il mio fianco, la mia mano, la mia aria…dove sei”,
non ho sentito le borse cadere e rotolare via, per le scale, fermandosi a un piano mentre le dita che le stringevano si stritolavano altrove.
Non ho sentito il silenzio dei capi chinati per resistere, nel fondo della mente, all’orrore e alla paura.
Non ho sentito i pianti e i singhiozzi attutiti, soffocati mentre facevano le valigie, metterci dentro qualcosa che ricordasse bellezza e tempi leggeri. Magari un costume da bagno comprato dal padre o dalla madre e con quel costume da bagno, lasciarsi alle spalle i ricordi.
Io non posso ricordare se c’era una via di scampo. Se è stata cercata prima.
Una qualsiasi via di scampo: ospitalità di amici contro ogni rischio, un convento, il mascherare l’ identità con documenti falsi. Una copertura precaria tra sospetto e terrore in ogni luogo e in ogni momento . Un rifugio che non potesse essere tradito.
Io no lo so se c’era. Quella notte no.
Ma io non so cosa sia accaduto. Io non c’ero, ma è stato un caso… voluto, deciso dal tempo.
Io non sono stata nel vagone buio, con un po’ di paglia per terra e un secchio per i bisogni.
Io non ero in mezzo a quella peste, non ero sottoposta all’oscuro contagio del male, dell’indifferenza, della banalità, della cecità per convenienza.
Io non capisco cosa ha portato la tragedia, ciò che è sfuggito al controllo, al buon senso, alla capacità di discernere con i sentimenti, al di là di tutto.
Io non so i pensieri che si sono accavallati senza che ci fosse tempo.
Io non ho visto uomini separati e distinti e ammucchiati e contati e marchiati e poi messi in fila di nuovo e le donne uguale. E i bambini con loro per un velo di umanità, no, un errore di umanità e quindi separati di nuovo per riparare all’errore. Una fossa con gli orchi, il lato barbarico della specie.
Io non so la devastante solitudine e impotenza e abbandono e sfiancamento e fame quando non ci sono stati più giorni, quando non ci sono state più notti.
Io non conosco lo smarrimento di un campo, degli insulti, del corpo violato, offeso, marchiato, deriso, cancellato e attraverso di esso lo spirito, l’essenza umana.
Io non so il lavoro, la doccia, la rasatura, la scabbia e pidocchi.
Io non ho provato le piaghe di una crocefissione quotidiana dell’essere senza nome, senza capelli, senza memoria e senza progetti, con gli occhi vuoti a lavorare nel fango.
Io non ho visto la cenere e le sue ombre.
Io non so quell’ assurdo odore dolciastro di morte che cambia il colore degli occhi...
E non so il fischio dei treni improvviso nelle orecchie, il fumo ancora dalle ciminiere.
Non ho conosciuto l‘apatia come antidoto all’angoscia per quel fischio e per la possibilità di diventare fumo.
Non so la voglia trattenuta di rispondere sputi a sputi, la rabbia che non trova spazio circondata dal terrore.
Io non so il dolore ai fianchi mentre le ossa spingono su una pelle senza più carne.
Non ho contato il tempo senza riuscire a riconoscerlo, a distinguere un’ora dall’altra.
Non sono impazzita per la sete, non mi sono legata a mormorii continui, a parole… sempre le stesse. Mantra contro la paura al posto della preghiera.
Io non conosco lo strazio e l’illusione del restare vivi, quando si assottiglia la coda per la zuppa, quando i volti che hanno accompagnato in un lungo tormento d’improvviso spariscono e non conosco lo strazio del chiedersi “quando io, quando sparirò io, quando?”.
Io non so se ci sono stati sogni o incubi in poche ore di sonno.
Io ebrea, io zingara, io omosessuale, io comunista, io vecchia inutile ammalata, io disabile…io.
Io non so, io non c’ero , ma è stato un caso… voluto, deciso dal tempo.
Non ho capito e forse avrei dovuto, dove si sia spalancato il baratro, dove si siano aperte le fauci ad inghiottire l’Uomo lasciando in superficie la Bestia con il rumore assordante e osceno degli assassini
Non riesco a spiegare né con la ragione né con le emozioni né con l’intelletto.
Io non so, non ho visto, non ho sentito, non ho conosciuto.
Io non c’ero ma è stato un caso… voluto, deciso dal tempo.

E quando anche l’ultimo testimone sarà sepolto, chi proteggerà la memoria se non chi non c’era?
Io non c’ero e non vorrei esserci ora.
Perché Io non so darmi la spiegazione per l’imperturbabilità di Dio in quella notte e in quelle a seguire.





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