Un'ordinaria storia di povertà
Lo
stabile in cui abitava abusivamente la famiglia Cocò era un ammasso informe di
cemento e calcinacci sfatti, invaso dalle erbacce e puzzolente.
Non
per questo i Cocò ne facevano una tragedia. Anzi, vi si erano adattati così
bene che gli altri occupanti – anche loro abusivi – non riuscivano a farsene
una ragione.
Silvio
Cocò, il capofamiglia, tuttofare comunale a tempo determinato, aveva ricevuto
un alloggio presso lo stabile Primavera per via di un accordo tra parti sociali
e istituzioni.
C’era
invece chi vociferava che un tetto sopra la testa gliel’aveva messo Antonio
Vettori, vicesindaco in fine di mandato. Perché si era alla vigilia delle
elezioni e i Cocò avevano razza lunga. Poi le elezioni furono perse e ai Cocò
fu chiesto di sloggiare. Così Silvio Cocò e famiglia s’impiantarono di fatto in
quel tetro edificio. Fino a prova contraria.
Marinella
Ruina in Cocò, una bella donna sulla quarantina, aveva deciso di sposare Silvio
anche per via del nome. Era convinta che – nomen omen – in ogni nome ci fosse
scritto il destino di un uomo. Così quando nei primi anni novanta Berlusconi
scese in campo, Marinella ne rimase folgorata. Il palazzinaro di Arcore era
ricco. Ricchissimo. Uno che ti poteva garantire una vita da sogno, lontano
dalle miserie e dagli stenti di Borgo Nuovo.
Ma
la realtà si rivelò ben presto in tutta la sua devastante crudezza. Suo marito
era un mezzo fallito. E prima lo avrebbe accettato, meglio era per tutti. Però
non lo odiava. Anzi. Lo amava davvero. Nonostante tutto. Nonostante Giovanna
Mura.
Un
dado per il brodo. Solo un dado per il brodo le aveva chiesto alla Mura. E
quella, acida come uno yogurt scaduto, era stata capace di rinfacciarle che era
già la terza volta che cacciava fuori un dado. Che lo tirava fuori proprio per
lei, per Marinella. Che i dadi costavano. Che lei li pagava. Che mica glieli
davano gratis. E così Marinella si sprecava in scuse, in rassicurazioni.
–Quando
Silvio risolverà sta cosa dei soldi mi ricorderò di te Giovanna. Un’amica vera.
–Sì,
sì – faceva la Mura come per dire: alle calende greche me li ripaghi i favori
che ti faccio.
Alla
fine il dado la Mura glielo dava. Ma quanto le costava quel dado! Quella
fetente della Mura ripeteva il suo macabro rito ogni santa volta. Prima le dava
il dado, poi aspettava che uscisse. E quando era sicura che Marinella poteva
ancora sentire, la chiamava pezzente e faceva il rumore come per sputare.
Ormai
Marinella doveva esserci abituata, ma in realtà quella parola – pezzente – le
rimbombava nelle tempie come un martello pneumatico.
Quando
Marinella tornava a casa con l’aria afflitta Silvio sapeva già cosa era
successo.
–
Sei andata di nuovo dalla Mura non è vero? – si
mordeva le labbra Silvio, pieno di rabbia – Ma che diavolo ci vai a fare
da quella stronza rimbambita? E poi è maligna.
Silvio
si illudeva che insultando la Mura, la patata bollente sarebbe balzata dalla
loro miseria alla cattiveria della Mura.
–
Non è maligna. La verità dice.
Quelle
parole ferivano Silvio più di una lama.
La
verità. Quella era la verità.
Una
vita di precariato interrotta soltanto da piccoli lavoretti avuti per
intercessione del politicante di turno.
Silvio
ci dava sotto con le maleparole. Era l’unico modo che conosceva per difendersi.
Allora attaccava a dire che non erano loro ad essere poveri, a bisognare di
tutto, era lei, la Mura la megera, l’essere malefico, la masciara che esagerava le cose e che non perdeva occasione per
insultarli, per farli sentire dei vermi.
Marinella
però sapeva. Sapeva come stavano le cose.
Così
a Silvio non rimaneva che intimarle di non andarci più dalla Mura. Ché tanto
non avevano bisogno di lei.
A
quelle parole, ripetute ogni volta allo stesso modo (modo che a Marinella
suonava falso), le scappava irrimediabilmente di piangere. Sapeva che suo
marito mentiva a fin di bene. Bugie bianche, aveva sentito dire quando era
piccola. Bugie bianche e miseria nera. Marinella sapeva. Sapeva che nemmeno
Silvio credeva alle sue stesse parole.
Marinella
avrebbe voluto piangere tutte le sue lacrime. Tutte in una volta. Così da finirle
per sempre. Perché è da quando era bambina che non faceva altro che piangere.
Di miseria. E la fanno facile gli altri a dire che uno non si deve
autocommiserare. Voleva vedere Marinella uno di quelli che hanno la pancia
piena. Voleva proprio vedere se dopo una settimana che mangiava avanzi (o aria
fritta) uno rimaneva dello stesso parere. Voleva piangere. Un mare di lacrime.
E
invece doveva smetterla e asciugarsi in fretta le quattro lacrime che aveva
pianto. Ché all’una e mezza Piero tornava da scuola. E suo figlio non la doveva
trovare così, in quello stato.
Pezzo pubblicato sul numero di sabato 9 marzo 2013 del quotidiano "Il Paese Nuovo"