CHI E' IL POETA?



Tempo fa un critico letterario mi chiese, tra l’ironico e il serioso, se noi poeti fossimo tutti  un po’ fuori con la testa.
Io gli risposi che noi poeti non siamo nati male. Semplicemente, siamo un po’ diversi. Anche quando bruciamo di passione e sembriamo cacciatori che s’avventano sulle prede. In realtà, il più delle volte, siamo noi ad essere cacciati. Non siamo per la riproduzione sistematica della specie, a tutti i costi. Non rappresentiamo gli esempi tipici del maschio e della femmina dominanti, quelli con cui mettere su famiglia, quelli nati padri e madri. Ecco perché, alla lunga, i nostri amanti ci detestano. Perché siamo come eterni bambini, sempre alle prese col loro smisurato ego e con le loro carte svolazzanti, le loro penne sempre a portata di mano, i loro orribili block-notes. Noi poeti siamo tutto questo e molto di più. Irascibili, dolcissimi, nevrotici, calmissimi. Insomma, o ci amano o ci odiano, difficilmente rimangono indifferenti a noi. E poi ci sono coloro i quali scrivono su di noi, nel bene e nel male, proprio come te, caro il mio critico. Ma poi – gli dissi – non farmi generalizzare, che non è mai cosa buona.
Lui mi guardò come fossi matto e aggiunse – Ma poi, chi ti dà il diritto di usare l’appellativo di poeta?
Nessuno – risposi io – siamo noi stessi che con un atto di coraggio e irresponsabilità ce lo attribuiamo. Non c’è nessun critico o concorso letterario che farà delle tue parole poesia.
Allora, per te, una mattina uno si alza e decide che è poeta – rincarò la dose quello.
Per me uno può dire anche che fa lo scienziato – risposi – sarà la sua onestà intellettuale a farlo parlare, se ce l’ha, chiaro. Sai – gli dissi – uno s’accorge se scrive una boiata o meno; o dovrebbe accorgersene.
Il critico mi guarda sgomento, poi fece – Allora tu giudichi da solo il tuo lavoro, decidi da solo se è buono o cattivo.
No – gli risposi – faccio leggere le mie cose a chi so io.
Allora non sei sicuro del tuo lavoro – e qui gli si illuminò un sorriso soddisfatto –  Bukowski diceva che se uno fa leggere le sue cose ad altri è meglio che non scriva, perché non è sicuro, non è cosa per lui.
– E a me cosa frega di Bukowski, scusa?!
Ecco, adesso il critico era rimasto allibito, come davanti ad una frase sacrilega. Avevo osato sminuire uno scrittore famoso. E, soprattutto, amato dalla controcultura. Controcultura, al cui interno, evidentemente, il critico mi aveva trovato casa. Se ne andò del tutto insoddisfatto. Di più, come se l’avessero bastonato. Il giorno dopo mi inviò un’e-mail (non so chi gli avesse dato il mio indirizzo di posta elettronica) in cui mi diceva che nonostante il mio comportamento (??) avrebbe pubblicato un articolo riguardante il mio libro su un importante giornale, ma non avrebbe fatto cenno alla nostra discussione. Gli risposi che era inutile pubblicare un articolo riguardante la mia poesia se non condivideva nulla del mio stare al mondo. Quel giorno non mi rispose. Due giorni dopo mi inviò un’altra e-mail con il link dell’articolo riguardante il mio libro. Della nostra discussione non c’era traccia.
Bene – mi dissi – Bukowski ha colpito ancora.

Pubblicato sul numero di domenica 14 luglio de "Il Paese Nuovo": www.ilpaesenuovo.it

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