SENZA IL MIO NOME di Adriana Gloria Marigo (Campanotto Editore)




 Senza il mio nome di Adriana Gloria Marigo (Campanotto Editore)



Bastasse vento buono
luce non ogivale
saremmo presto all’armo

affinati d’altre traversate

a voce di mare eguali
vigili nell’occhio alle stelle
a prodigio di polena somiglianti.


Bastasse vento buono, p.46.





Fin dai primi versi di Senza il mio nome, una delle ultime opere di Adriana Gloria Marigo, Campanotto Editore, 2015, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una raccolta poetica generata “in assenza di tempo, che si colloca fuori dagli angusti spazi dell’umana dimensione secolare. Così, quella che ci appare come una prima, stentorea invocazione, «O luce, declina di stupore / arrendici alla frequenza d’onda [...]» (p.19), potrebbe essere intesa come un viatico, che accompagnerà il lettore per tutte le pagine della silloge. E proprio un viaggio, attraverso il personalissimo Cosmos dell’autrice, sembra originare dalle parole, precise e sempre in luogo, di questo lavoro poetico, emanazioni di un sentire che si fa prossimo alla perenne dualità Ordo/Chaos e, con la sua imminenza, diventa sommo medium di un’interpretazione dialettico-semantica della condizione contigua all’uomo. Come “Verbo perenne”, cui non è concessa la Fine ma il Fine, il verso della Marigo risucchia la transitorietà dell’individuo nell’universo sterminato del non-finito, magnificandosi nell’atavico furore, nel materiale intendimento di Achille, che aveva penetrato a fondo la rabbia degli dei, invidiosi dei mortali per il fuoco passeggero ma insaziabile delle passioni cui non sapevano resistere. In Senza il mio nome, un’aura criptica -  prometeico dono, musica orfica - ricca non solo di suggestioni misteriche ma anche di un’invincibile perfezione formale, attutisce «il tonfo della specie» (p.25), e resiste alla matrigna tabula rasa del Conoscere, così temuta e al contempo praticata, tanto che nei versi in questione sovente si è percepito lo slancio (e il coraggio) della Poiesis e della sua pugna con Polemos, una quintessenza energetico-verbale che tutto ghermisce e divora. Ad un’attenta lettura non sfuggono i diversi piani di senso che attraversano l’intera raccolta e donano, a chi sa intendere, baleni di “nuove scienze umane”, Geografie/Geometrie del profondo: «Emersa la terra alla luce / tutta si coprì di pietra verticale / abissi oceanidi / sfolgorii correnti di fiumi / del verde orizzontale [...]» (p. 41). La Poesia di Adriana Gloria Marigo è cura della parola, del dettaglio, della mistura alchemica che rende il verso quasi iniziatico, esoterico (nell’accezione filosofica del termine), ed è maestria nell’uso dell’attributo, lo dimostrano, a nostro avviso, binomi come “legittimità dubitosa”, “bassura transitiva”, “fiorescenza memorante”, “anni antelucani”, “iride agemina”.  Spesso nelle liriche dell’autrice il verso sembra muoversi motu proprio nella galassia del Verbum, si contrae e si espande in un sublime jeu des rêves, dove i sogni non sono da intendere come riflessi di una realtà altra o sconfinamenti nell’indefinito emozionale della poetica fanciullezza, bensì come intersezioni psico-poetiche del Tutto, momenti massimi, lande sistemiche e universali, altipiani da cui è possibile scorgere le larghe spalle dei filosofi e dei maestri delle psicologie. Un versificare, quello della poetessa, che rivela il fascino di arcani prodigi, quasi segni di una ricerca poetico-misterica che ci hanno suggerito dei collegamenti intuitivi e analogici con certi diagrammi ideatici preternaturali e consonanze alfanumeriche primigenie (Pitagora, Platone, Lullo, Agrippa); sintagmi aurei, disposti secondo una “tipologia segreta”, una sorta di odierna Qabbaláh che possiede una struttura granitica e un’identità classica, declinabile attraverso modelli fenomenologici di essenze ed essenti poetico-filosofici. In Senza il mio nome nulla è lasciato al caso, come in un preciso mandala o in un perfetto mosaico, tutti i corpi che compongono la costellazione lirica della Marigo si accendono e sfolgorano di luce propria, lasciando il lettore in uno stato di meraviglia e stupore, come se si trovasse davanti alla forza dei millenni e a quell’immensità del sentire in cui, come avrebbe detto Leopardi, s’annega il nostro pensiero. 

Gianluca Conte



Adriana Gloria Marigo vive tra Padova e Luino. Dopo gli studi universitari in pedagogia a indirizzo filosofico, ha insegnato nella scuola primaria. Attualmente cura la presentazione di libri, collabora con associazioni e riviste culturali con interventi critici secondo una visione letterario-psicoanalitica. È responsabile per la rivista di cultura internazionale Samgha della rubrica di poesia “Porto sepolto” e curatrice della collana di poesia di Caosfera Edizioni di Vicenza.
Ha pubblicato le sillogi Un biancore lontano – LietoColle, 2009 e L’essenziale curvatura del cielo – La Vita Felice, 2012, Imperma-nenza, plaquette per le edizioni Pulcino Elefante, 2015.
Predilige la diffusione della poesia in una dimensione multidisciplinare e all’interno di altre espressioni artistiche, quali pittura e fotografia: a giugno 2014 ha presentato a Castelfranco Veneto il lavoro poetico Della natura nostra sulle fotografie di viaggio di Imaire De Poli nell’evento “Di Terra e Arte” del Centro di Ricerca Artistica Immaginario Sonoro.



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