AUTORITRATTO AL RADIATORE di Christian Bobin (AnimaMundi Edizioni), una lettura di Gianluca Conte - per Alimede Poesia
Autoritratto al radiatore di Christian Bobin (AnimaMundi Edizioni)
Tu citavi spesso questa frase, l’avevi trovata in un libro, non ho mai
saputo quale, essa ti si addiceva, ti calzava a meraviglia come la
scarpina mancante al piede di Cenerentola: «Nessuno è esattamente al suo
posto, ed è meglio così, un rigido adeguamento sarebbe
insopportabile».
saputo quale, essa ti si addiceva, ti calzava a meraviglia come la
scarpina mancante al piede di Cenerentola: «Nessuno è esattamente al suo
posto, ed è meglio così, un rigido adeguamento sarebbe
insopportabile».
Com’è chiacchierona una rosa.
(p.19)
(p.19)
A farmi conoscere Christian Bobin è stata Raffaella Fiorini,
carissima amica, lettrice attenta e donna d’innata sensibilità (tengo a
dire che Autoritratto al radiatore è un suo prezioso dono). Di
Bobin, dopo averlo “incontrato”, insieme a Franco Arminio, proprio nella
magica dimora di Raffaella, costellata di libri, altre meraviglie
artistiche e di profumi della natura, avevo già letto Mozart e la pioggia, Mille candele danzanti, L’uomo che cammina.
Tutti esempi meravigliosi dell’immenso sentire di Bobin, della sua
delicatezza e forza. Elementi, questi, che non appaiono, nelle opere
dello scrittore francese, in contraddizione ma, come la vita e la morte –
temi centrali della sua poetica –indissolubilmente legati.
In questo Autoritratto, tuttavia, sembra esserci qualcosa in più, un indecifrabile quid,
forse, se possibile, una fetta di maggiore intimità e, al contempo, di
universalità che sboccia, come i suoi amati fiori, dalle piccole e
piccolissime cose:
«Alla domanda sempre imbarazzante: “Cosa stai scrivendo ora?”,
rispondo che scrivo di fiori, e che un altro giorno sceglierò un
soggetto ancora più esile, più umile se possibile» (p.14).
L’approccio di Bobin a tali oggetti/soggetti non è nostalgico né,
tantomeno, melodrammatico, le sue pagine, dotate di un immenso afflato
poetico, cercano nella mestizia e nella frugalità la luce, la gioia, pur
non chiudendo gli occhi sul dolore e sulla tristezza. La scrittura di
Bobin, minimale, sobria, appare infinitamente ricca di suggestioni
sincere, mai affettate.
Nelle parole impresse sulle pagine bobiniane è facile intuire l’autore, la sua fisionomia spirituale, la sua verace umiltà:
«È chiaro: tutto ciò che possiedo mi è stato dato. Tutto ciò che ho
di vivo, di semplice, di tranquillo, l’ho ricevuto. Non sono così folle
da credere che mi fosse dovuto, o che ne fossi degno.» (p.20)
Leggendo Bobin, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa
di mistico, di ascetico, di altamente spirituale. Eppure non sembra di
accostarsi a un pensiero “di nicchia”: l’ispirazione di Bobin è popolare
– nel senso alto del termine – a tratti colloquiale, eppure profonda e
musicale come non mai. Bobin è uno scrittore, e prima ancora un uomo,
che nella sua riservatezza parla all’umanità, uomini, donne, bambini,
anziani. Parla del mondo, e parlando del mondo parla di noi umani, della
nostra fragilità e della nostra forza.
Tra le righe, poi, si intravedono il valore e l’unicità che l’autore
attribuisce alla solitudine, da vivere non come una condanna,
tutt’altro. Solitudine è abbracciare un’impareggiabile compagna:
l’intimità. Ed è forse nella riscoperta del nostro lago interiore, che
spesso releghiamo in un angolino buio dell’esistenza, nel ritrovare noi
stessi attraverso le piccole cose, che risiede uno sfuggente barlume di
verità:
«La verità si muove, spinge, corre, ritorna, canta, si contraddice,
fa piroette e non è mai prigioniera di nulla, di nessun principio, di
nessuna abitudine. La verità è quello che non ho, che nessuno può mai
avere» (p.96).
Link al post originale: https://alimedepoesia.wordpress.com/2017/12/19/autoritratto-al-radiatore-di-christian-bobin-una-lettura-di-gianluca-conte/
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