L'OCCHIO DEL BARBAGIANNI di Guido Ceronetti (Adelphi)



L’occhio del barbagianni di Guido Ceronetti (Adelphi)


«Il Tragico sofocleo contiene risposte a tutto».
(62, p.36)



Tra le opere di Guido Ceronetti, tutte corrosive e spesso impietose verso una società come la nostra, che lascia a desiderare in quanto a umanità e intelligenza, questa L’occhio del barbagianni, Adelphi, 2014, è senz’altro una delle più acute e penetranti. Già dai primi pensieri, inclusi in questo stringato cammino dal sapore aforismatico, si può intendere l’attitudine affilata dell’autore: «La parola articolata, il logos specchio del mondo, fatto lingua e linguaggio, là è la madre di tutti gli uomini – caduta in una fossa di matricidi» (5, p.11). Scrivere per brevità, cogliendo l’essenziale, è proprio di chi ha una sensibilità particolare e un’onestà intellettuale incrollabile, qualità rare, dimostrate non solo dalla vita di Ceronetti, uomo schivo e sempre contro corrente, ma soprattutto dai suoi scritti, mai accondiscendenti, mai leziosi, costantemente carichi di criticità tese alle plurime verità che incontrano l’essere umano. Il Filosofo Ignoto, inattuale e già classico ancora in vita, come pochi altri – Carmelo Bene o Emil Cioran, a esempio – e proprio per questo sempre attuale, pugna con gli elementi propri dell’esistenza umana, dalla vita alla morte, dalla staticità al dinamismo, dalla stanzialità alla migrazione: «Turpe, infausto Mediterraneo. Da aurorale, epico, filosofico a turpe su tutte le sponde, portatore di sventura ai nativi dovunque vi si affaccino esseri, nazioni umane. Stiva fradicia di Kali-yuga» (93, p.47). Non siamo sicuri di voler scorgere la coltre di pessimismo – termine inflazionato ma imperituro – che avvolge le stilettate di Ceronetti, poiché la riflessione dell’autore in più punti si dissocia dal grigiore che sovente accompagna la sfiducia verso il genere umano: «Un barlume c’è di salvezza, se al di là del nulla della storia e della scienza, mammiferi malodoranti che si riproducono e muoiono, ci pensiamo come incomprensibili, indecifrati esseri simbolici» (125, pp.57-58). Ma il punto non è solo se la visione di Ceronetti sia o meno apocalittica o tetra, ciò che sembra trasparire da L’occhio del barbagianni, al di là di ogni ragionevole dubbio, è la non rassegnazione, la non accettazione dello status dell’attualità e della storicità antropica. E questo avviene in diversi modi: la provocazione, la pugnalata di matrice cioraniana, l’affondo arguto, ma anche il porre l’umanità, mai tradita dall’autore, come destinataria finale di ogni abbraccio filosofico, forse, malgrado l’autore.

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