IL MODO IN CUI LA LUCE di Michele Bellazzini (Kurumuny Edizioni)


Il modo in cui la luce di Michele Bellazzini (Kurumuny Edizioni)



«La tua assenza

è una voragine nella mia terra.

Ha una forma di anfora:

qui è ampia come le note

là è lunga e sottile

come un profumo nei ricordi. [...]»

(La tua assenza, p. 33)







Intimità oceanica, cristallina freschezza e calore genuino. Le prime tre cose a cui ho pensato leggendo questa incredibile silloge di Michele Bellazzini, Il modo in cui la luce, Kurumuny Edizioni, Collana Rosada, diretta da Milena Magnani, 2017. Un sapore antico, ma non di un nostalgico tempo che fu, bensì di un’antichità che, fattasi radice per poi allungarsi al cielo, invita amorevolmente ad abbracciare la dimensione del presente in ciò che di atavico affonda nell’umano.

Sospesa tra quello che appare una sorta di animismo poetico e certe suggestioni che intersecano il realismo magico, l’opera di Bellazzini sorge come un sole diafano, per illuminare di leggera profondità le vite di chi ha la ventura di imbattersi in essa: «C’è vita in ogni cosa / mentre il silenzio prepara la neve [...]» (C’è vita in ogni cosa, p. 24). Dai versi dell’autore si innalzano brume narranti, atmosfere caleidoscopiche che raccontano a bassa voce dello stare al mondo, mentre un vento protettore si alza, e  sembra sottendere l’intera raccolta, una condizione di quiete superiore, che rende palese a noi mortali la forza di una gioia quasi divina che si fa incontro col Tutto: «Avete notato / che quando arriva il momento / nel silenzioso mondo vegetale / sboccia ogni cosa? [...]» (I fiori sono pazzi, p. 29).  Questa silloge, impreziosita dall’opera di copertina Genius loci verticale di Maurizio Esposito che, lungi dall’essere un semplice abbellimento, si rivela un tutt’uno con le parole eternamente nuove di Bellazzini, porta con sé una speranza di resistenza all’orrido mal-vivere contemporaneo, al vuoto susseguirsi di “corse del topo”, alla prepotenza della dis-identità: «Il respiro generoso del cielo / ci porta in volo / su ogni terra / e mare / su mondi non visti. // Fiorire e generare. // L’attenzione d’amore / che ci unisce / è più ampia del vento». (Semi, p. 41). E, così facendo, la parola poetica si fa parola politica, nel senso più alto, più forte del termine. L’amore di Bellazzini è un amore universale, che si allarga nello spazio-tempo, e va ben oltre il sentimento del binomio “io/tu”: questo amore è la Philía per il prossimo, per il “noi”. La parola si fa autenticamente solidale, abbraccia, bacia, sorregge, illumina, benedice. E a prendere la parola non sono solo le persone, gli umani: a parlare è tutto il creato, ogni cosa. È questa la magia più grande di Bellazzini: donare la parola alle cose che abitualmente consideriamo mute. Allora parla la luna, parlano i fiori, parlano i giorni, parlano i pesci. Parlano i luoghi fisici, i luoghi dell’anima, i luoghi del cuore.

Sono riconoscente all’autore. La mia riconoscenza ha ragion d’essere per il semplice fatto che il poeta abbia deciso di pubblicare questi versi assoluti, slegati da ogni schema accademico. Versi sinceri, onesti, limpidi, veri. Gli sono riconoscente perché ha deciso di condividerli con noi lettori, di non esserne geloso (e avrebbe potuto!). È anche qui la bellezza di una persona: donare e donarsi, senza risparmio.  


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