La legittimazione della parola
La legittimazione letteraria integrale di tutte le parolacce
o di espressioni gergali, che la lingua italiana, i dialetti e persino le
lingue straniere mettono a disposizione dei nostri poeti e scrittori non
significa affatto che l'abbassamento stilistico e la stessa pratica sistematica
del turpiloquio abbiano perso del tutto il loro mordente espressivo, né tanto
meno che si siano ormai ridotti a una specie di marmellata linguistica,
spalmata un po' dovunque. Ormai, è il caso di dirlo, un "cazzo"
oppure un "vaffanculo" non li si nega più a nessuno, e sono rimasti
in pochi a scandalizzarsene.
Del resto, se autori come Dante, Jacques Prévert, Pier Paolo Pasolini, Franco
Loi, Giuseppe Gioacchino Belli, solo per citarne alcuni, ne hanno fatto uso,
non si può non riconoscerne non solo la legittimità ma anche l’utilità
educativa. Una persona non si può scandalizzare di trovare in un libro parole
che poi, effettivamente, usa ogni giorno e più volte al giorno. Sarebbe non
solo ipocrita ma anche stupido. È ovvio che la parolaccia va inquadrata nel
contesto del libro, non si può concentrare l’attenzione solo sulla parola ad
effetto, è il quadro generale, fatto dalle storie, dalle trame, dalla tessitura
che ogni singolo autore esegue nella propria opera a rendere la “parola forte”
adatta alla pagina. È ovvio, fuori da ogni dubbio, che l’effetto di turbare o
scandalizzare il lettore, si attua principalmente su soggetti di cultura bassa,
che non praticano la letteratura e che sono legati ad un tipo di poesia e
scrittura – e, più in generale, di forma espressiva – rassicurante, per nulla
critica, e che risolva tutto il suo essere nel mero compiacimento infantile
descrittivo. Al pubblico poco colto, quello che giornalmente passa ore intere
davanti alla TV guardando talk show e reality show, sul modello di “Amici”,
“Uomini e donne”, “L’isola dei famosi” e altre bruttezze, manca quasi
totalmente la capacità critica. L’aspetto paradossale è che tale pubblico, si
scandalizza per una parolaccia trovata su un libro, ma vede ore e ore di
parolacce televisive senza battere ciglio. Ma, se l’immaginario poetico attuale
si è fermato a momenti aulici e dolci come l’amore cortese, il sole nascente,
il colore del mare, gli uccelli che cinguettano e non ha maturato una
personalità vicina ai vari Montale, Ungaretti, Quasimodo e altre grandi figure
del mondo culturale che hanno aperto le porte del poetare alla vita reale,
quotidiana, con tutti i suoi problemi da affrontare, le colpe vanno ricercate
da entrambi i lati. Ciò non toglie che il lettore medio, quello che non legge
più di un paio di libri l’anno, non può e non deve sentirsi in diritto di
sindacare sull’opera di un autore prendendo come punto di riferimento un uso
della parola forte. Sarebbe un errore grande come un grattacielo.