APOLOGIA DELLA STORIA - Perché la Storia è un insegnamento irrinunciabile
Apologia della Storia
La storia insegna, ma non ha scolari.
Antonio Gramsci
Il modo più efficace di distruggere
le persone è negare e cancellare
la stessa comprensione della loro storia.
George Orwell
La
Storia non si studia perché è bella (anche se, per me, lo è), perché narra di
accadimenti piacevoli, curiosi o gradevolmente interessanti. La Storia di
studia per conoscere e capire, come si studiano le cellule tumorali, i
terremoti, le cause della siccità o dei cambiamenti climatici, che di bello non
hanno un bel niente. Attenzione: abbiamo detto per «capire», non per goderne o condividere
decisioni e avallare eventi e posizioni. Ma la Storia è davvero quella magistra
vitae, come voleva Cicerone? Ci ha insegnato qualcosa? Ha migliorato il mondo?
Evidentemente no, se il nostro pianeta è ancora straziato dalle guerre e
vessato, in ogni dove, da ingiustizie e soprusi. E quindi? Siccome non è «bella»
e tratta (anche) «cose brutte», andrebbe eliminata dalla Scuola? Bene, allora
iniziamo ad eliminare, in primis, l’economia, perché, se adottassimo lo
stesso metro di misura che alcuni applicano alla Storia, essa non sarebbe altro
che la giustificazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; la chimica,
poiché sintetizza sostanze nocive; la fisica: vedi bomba atomica; e che dire,
poi, dell’Italiano: Dante parla dell’Inferno, Petrarca delle sofferenze d’amore,
Boccaccio della peste, Foscolo del suicidio, Ungaretti dello strazio dei
soldati trucidati. E che diamine! Quante cose brutte tutte in una volta! Non sarebbe
meglio rimuoverle dai programmi ministeriali e dimenticarle? Eppure, di tutto
ciò continuiamo a discutere e dibattere. In questo senso, tutto ciò che noi leggiamo,
ascoltiamo, visioniamo, è nato nella Storia. Far finta che essa non esista o,
peggio, augurarci che non venga più insegnata, significherebbe
decontestualizzare ogni argomento, con la conseguenza di ridurne o addirittura falsarne
la comprensione. È nostro dovere – personale, morale, civico – conoscere e cercare
di capire il nostro passato, per quanto spiacevole e crudele possa apparirci. Sapere
che il fascismo è stato un cancro per il Paese è giusto e sacrosanto, così com’è
giusto sapere che ci sono state persone, come Giacomo Matteotti, che hanno sacrificato
la propria vita affinché noi oggi fossimo liberi. Capire non vuol dire accettare
passivamente le tante nefandezze del passato, né, di contro, pretendere di
risolvere i problemi del mondo. Se la Storia non è stata in grado di insegnarci
a non ripetere gli stessi errori non è colpa sua, ma nostra. La Storia non è un
ente astratto, qualcosa che è presente soltanto sui manuali, ma è fatta di uomini
e donne, di individui e di popoli. Certo, quando posiamo gli occhi su ciò che
di terribile accade nel mondo, ci facciamo prendere (giustamente!) da un frustrante
senso di rabbia e di impotenza. Ci chiediamo come tutto ciò sia possibile. Come
siano possibili la morte di tanti bambini, la distruzione di intere città, l’asservimento
di tanti popoli. Allora, colti dallo sconforto, alcuni decidono che è colpa
della Storia, che essa è stata una cattiva maestra. Ma, dirò una banalità, non
è cancellandola che risolveremo i problemi, anzi, è proprio dimenticandola che
si alimentano l’indifferenza, l’indolenza, l’insensibilità, l’ignoranza rispetto
alle ragioni di un qualunque accadimento. Non è un caso che negli Stati dove
vigono regimi totalitari, la Storia sia, se non eliminata, manipolata, piegata
agli interessi del potere. Ecco, conoscere la «vera Storia» è un modo per
emanciparsi da uno stato di minorità per il quale viene fatta credere qualsiasi
cosa. Prendiamo degli esempi. Forse in pochi sapranno che vi sono alcuni Stati in
cui le donne erano libere di istruirsi, votare, indossare abiti corti e andare
a volto scoperto. Poi, con l’avvento di regimi autoritari, queste libertà sono
andate perse o sono state fortemente limitate. Ma perché è importante esserne a
conoscenza? È importante perché sappiamo che non è stato sempre così. Che c’è
stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui le condizioni di alcuni popoli
erano migliori, che la situazione di oggi non è nata per colpa di un destino
ineludibile e, soprattutto, che le cose possono andare diversamente da come
sono.