IL RITORNO di Dora Elia (prima parte)



Il primo amore non si scorda mai



Non sono più la stessa.

Te ne sei reso conto quando i miei seni, sotto le tue mani, hanno preso un guizzo deciso senza che le gote diventassero rosse.

L’hai capito davvero quando, davanti al mare, mentre le onde s’infrangevano sullo scoglio, sotto la luna- gli schizzi a bagnare il vetro della tua auto- invece di stringermi a te cercando una scusa per il contatto, ho spinto le tue labbra lontano da me per spiaccicare il naso contro il finestrino e godermi lo spettacolo della tempesta.

Quanti anni son passati? Dieci? Quindici?

Ne ho perso il conto e con esso il ricordo del mio amarti oltre la vita.

Il primo amore non si scorda mai e, a dir il vero, non ti ho mai scordato, non ho mai dismesso il sapore dei tuoi baci, i primi per me, e delle carezze proibite nella penombra.

Ero una ragazzina che stava, lentamente, diventando donna e tu ti sei preso il meglio di me, l’ingenuità, le lettere d’amore che oggi, mi dici, tieni ancora nei tuoi cassetti, il primo amplesso.

Nella mente i ricordi remoti e quelli di qualche sera fa s’affollano e si mescolano senza seguire più la linea del tempo, danzano sulle corde del cuore in una storia che non è più quella e certamente non può più essere la stessa di quando nei giardini comunali c’erano ancora piantati i pini e le panchine erano di metallo, sotto la penombra degli aghi profumati.

Son tornata senza sapere che tornassi e il mio paese- il nostro- non è più lo stesso.

Sono tornata perché dopo anni la terra chiama, il mare manca quasi da togliere il respiro, gli amici che non vedi da tanto hanno una vita da raccontarti e qualche figlio da presentarti o il progetto di un lavoro che è il sogno di sempre e al giro di boa dell’esistere si realizza.

Sono tornata pensando di essere immune all’attrazione maschile e ancor più all’amore, ma certe cose non si pianificano e l’errore mi è subito saltato all’occhio, senza speranza di correzione.

Non è così che lo immaginavo, il ritorno.

E l’amore, già, l’Amore, il primo, con la A maiuscola.

Il primo amore non si scorda mai. Fruscio nelle orecchie mentre scruto il paesaggio, diverso.

Sapevo che il lungomare è diventato, pian piano, una comoda orribile colata di cemento che dal bar  porta alla spiaggia e poi agli scogli dietro la curva delle grotte dei pescatori. Sapevo anche che la piazza non è più intitolata a un Vittorio Emanuele I o III- il numero non l’ho mai saputo!- ma al tanto amato Pertini e che i lounge bar sono di più delle case a corte. Ciò che non sapevo è che tu eri tornato da Berlino e che mi aspettavi, o meglio, di te, da anni, non sapevo più nulla.

Il tuo ritorno nella mia vita.

A scriverne sembra di metter su la regia di una fiction inverosimile, invece è ciò che mi è successo nel nuovo mondo che era il mio da bambina e ora è così diverso ai miei occhi, così moderno e uguale a tanti altri posti visti qua e là in giro per l’Italia e per l’Europa.

Cercavo le tracce di un centro storico che già dieci anni fa era stato completamente mangiato dalla furia edilizia post anni Settanta e ho trovato quelle di un tuo interesse per me che non potevo immaginare, non dopo che a sedici anni, una sera di pioggia nella tua auto mi avevi detto che no, non mi amavi, non t’importava di me, c’era un’altra nei tuoi giorni ed io avrei fatto meglio a mettermi da parte, a dimenticarti.

Quant’eri bello, un tempo e, a dir il vero, lo sei tutt’ora, malgrado qualche capello bianco e due rughe agli angoli degli occhi a ricordarti i tuoi quarant’anni. Bello da rubare l’anima, da far girar la testa mille volte, da mozzare il fiato in un’apnea dei sensi e della passione.

I tuoi occhi, la tua voce, le tue mani mi hanno insegnato il desiderio e la bellezza di abbandonarsi ad esso, senza paura, senza temere il peccato. Non so perché, ho sempre associato il profumo della tua pelle all’odore del mare, il sapore delle tue labbra carnose al gusto dolceagre delle fragole.

L’ho sentito anche l’altra sera, alle spalle della piccola chiesetta del nostro incontro, questo mix di fragranze e mi ha fatto lo stesso effetto di un tempo, non ti avrei dato il mio numero altrimenti.

Non ti avrei chiesto di accompagnarmi a casa lungo la strada dove un tempo sorgeva la biblioteca e la bottega dell’ultimo calzolaio di Melendugno, non avrei accettato il tuo invito a bere un drink in uno dei tanti locali vetrina del paese, questi posti che sanno di Londra o di New York, insomma, di ridicolo per un comune di poco più di ottomila anime, molte delle quali residenti solo sulla carta!

Il ricordo di quel tuo profumo, di quel sapore di cui la tua pelle e le tue labbra erano intrise fino alla nausea che sconvolge i sensi ha fatto tutto.

La ricerca di un luogo che non c’è più- non come vent’anni fa, insomma- si è trasformata nella ricerca di un amore che non c’è più, si spera. Ma forse già ci tradisce il cuore, accelerato.

I giorni passati con i compagni di un tempo, a discutere del gasdotto che deturpa San Foca, dei pannelli solari intorno al Furnieddhu grande, del Nuovo Cinema Paradiso che continua ad avere sempre una sola sala e a dare la seconda visione dei film più in voga del momento.

Sere a parlare con quelli con cui sei cresciuta, davanti a un San Marzano al Bar Roma, degli ulivi secolari che sono nati prima di noi e ci sopravvivranno, delle vecchiette dietro le porte a vetro che ci davano le caramelle in cambio di due chiacchiere per vincere la solitudine e che non ci sono più, volate oltre la vita, del mazzo di fiori portato ogni ventisei dicembre sulla tomba di Rina, mentre del suo monumento austero, busto altisonante a Rina Durante illustre poetessa, scrittrice, giornalista, restano rare tracce sotto l’edera che l’avvolge.

Negli incontri, nel ritrovarsi scopro il cambiamento che ha inghiottito le cose, quelle care e quelle no, mi sento io stessa diversa in quella che, da lontano, ho continuato negli anni a chiamar casa mia per distinguerla dal dove abito adesso del domicilio che è il medesimo da quindici anni e più. Non mi è mai passata l’abitudine- o il vizio- di parlare del Salento come della mia residenza abituale e del feltrino come del posto che mi ospita giusto il tempo che il mio contratto scada, quasi fosse un mese o un anno di permanenza e non un continuum chiudere a giugno per riaprire ad agosto.

Tra le altre domande, torno a farmi quella sul perché, ad un certo punto, ho smesso di tornare giù pur continuando a consigliare vacanze ai miei colleghi nella terra di dove finisce la terra.

Pochi giorni per partire, troppi soldi per andare: ecco, solo ora mi accorgo che erano solo scuse per non arrivare là e scoprire che tutto è cambiato, che la mia terra non è più la stessa e, forse, nemmeno la mia gente.

La paura del divenire che è insito nelle cose ha allungato la lontananza dal mare e da un ipotetico te- non tu, non ancora- lì ad attendermi, reso incolmabile una distanza che, da ragazza, percorrevo anche una volta al mese, senza curarmi se a portarmi fosse un treno, un’auto o un aereo, sarei scesa giù a piedi con le ciaspole, senza temere il freddo, dichiarai il primo anno a Feltre, quando il maltempo rischiava di bloccare le mie vacanze di carnevale al Sud, malgrado Venezia e le sue maschere a due ore di strada.

Ma questo è solo l’inizio.

E il primo amore non si scorda mai.

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