EROTICO CAOS di Giuseppe Pellegrino (ArgoMenti Edizioni)
Erotico Caos di Giuseppe
Pellegrino (ArgoMenti Edizioni)
Sono nato bianco,
vivo di sfumature,
vorrei morire a colori.
Vengo dal silenzio,
vivo vociando,
vorrei morire cantando.
Prima non ero,
ora ancor meno,
domani non so.
(XL, p.55)
Fin
dai primi versi di Erotico Caos di Giuseppe
Pellegrino, ArgoMenti Edizioni, 2017, ultima silloge poetica dell’autore, impreziosita
dalle illustrazioni di Chiara Papa, le intenzioni appaiono evidenti, ovvero indagare l’umano e
tutto ciò lo circonda: «C’è un tempo che si ritrae / come acqua di risacca / nel
caldo apatico d’estate / e anni che scivolano veloci / come sabbia tra le mani»
(I, p.7). L’essere umano nella sua totalità, dunque, con le sue debolezze e la
sua forza, spesso nascosta, nidifica sulle liriche di Pellegrino, che vanno
incontro alle dimensioni spazio-temporali con un verseggiare aleggiante su
ossimori logici, sospeso tra reale e irreale. L’autore ci restituisce immagini
archetipiche, lontane e vicine a un tempo:
«Parole di biro / emettono urla dissociate / come ritmiche percussioni /
di neri tamburi» (V, p.11). Il Verbum,
quindi, la parola cercata e trovata con chirurgica precisione è il filo rosso
che unisce le poesie contenute in questa bella prova. E poi c’è la vita,
l’esistenza che si tinge dei più disparati colori e nei versi di Pellegrino
diventa musica, poiché la musica, come ben sapeva Nietzsche, è fonte di vita,
anzi, senza di essa, affermava il filosofo di Röcken, la vita sarebbe un errore.
Vi è una ricerca profonda nell’opera di Pellegrino, che non si ferma a
inseguire il mitico Meaning of life
ma cerca di offrire dei punti di vista obliqui, divergenti dell’universo umano,
un percorso vero, onesto, da cui sembra trapelare una verità incontestabile: Se
un ordine può esistere nel caos che tiranneggia il mondo, questo è dettato
dall’Amore. E se l’Eros è ciò che muove il mondo, è presente, in questo lavoro,
quasi un invito, a volte evidente a volte celato tra le righe, a cimentarsi
nella difficile ma necessaria prova dell’autocritica, proposito valido come non
mai soprattutto per chi ha deciso di scrivere in versi: «Oh poeta, / per essere
pronto / a guardar dalla finestra / devi acquisire buona vista / guardandoti
allo specchio» (XXXVI, p. 50). La poesia di Pellegrino è colma di vita reale,
vissuta, e abbraccia emozioni, sensazioni, percezioni che filtrano da ogni
corpo, da ogni mente, da ogni desiderio. Da queste liriche potenti traspare una
volontà di affermazione dell’individuo non come un’isola sperduta e
inavvicinabile né come cima di montagna innevata, bensì come parte di un tutto,
meritevole di esistenza sempre e comunque. Il verso dell’autore non giudica, non
predica, non profetizza ma sembra stringere l’umano in un caldo abbraccio,
anche nei momenti più duri, più neri. Una vera Philía si compie in quest’opera, una mano tesa che
dal particolare muove all’universale e viceversa; e allora anche il momento
intimo, quello della nudità totale dell’autore di fronte al verso, si fa canto
universale, capace di dissetare chiunque voglia bere dalla fonte del poeta: «La mia anima è incinta / gravida più
che mai / di volontà di vita. / Schopenhauer è tramontato / Eros ed Oniros / ora
mi accolgono, / ed il Vesuvio qual sono / ha brama di gorgogliare / ed eruttare
ancora» (XLIV, 60). I richiami filosofici, sempre pertinenti, arricchiscono la
Parola di Pellegrino, che si fa foriera di messaggi legati a realtà plurime: la
vita, la morte, la veglia, il sogno, l’amore, l’odio, l’individuo, la società. Intramontabili
tematiche che fin dall’origine del pensiero hanno suscitato l’interesse del
filosofo, del poeta e di qualsiasi uomo dotato di sensibilità. Ed è proprio
alla società di oggi e al proliferare di tanti, diversificati egoismi che l’autore
dedica parole infuocate, schiette, che non lasciano adito a fraintendimenti: «Falsi ego ipertrofici, / maschere di
forza / ostentata e rivendicata, / spiriti deboli e menti elementari / deridono
altrui struggimenti / e dolori» (L, p.72). D’altronde, se essere poeti ha
ancora un senso, questo dovrebbe essere ricercato nello svegliare le coscienze,
nello strappare l’arcinoto Velo di Maya, con un gesto, una lirica, un
urlo, una carezza. Poesia come momento di rottura, di squarcio dell’establishment,
soprattutto di quello culturale (e per cultura intendiamo l’universo umano in
toto). Giuseppe Pellegrino ci dice che «L’insensato» spesso abita «nel rigore della ragione» e che un barlume di
verità può esistere proprio nel deviare da quella che per i più appare come la
strada maestra. D’altra parte, da Pascal ad Adorno, da Horkheimer ad Arendt,
passando per Leopardi, Keats, Blake, è saltato all’occhio che la ragione,
intesa come elemento capace di bastare alla felicità dell’uomo, è andata
incontro a un totale fallimento. Ecco allora che «i jeans laceri e sgualciti al
congresso dei dotti», «una nota stonata al concerto di Capodanno» e «andar
fuori traccia nonostante il voto» possono rappresentare l’inizio di un cambio
di direzione, dei piccoli ma importantissimi punti di rottura capaci di fare
breccia nella mente e nel cuore di chi vuole vivere la propria vita nella
verità di un’esistenza sincera, reale, autentica.