PIANO DI EVACUAZIONE di Flaminia Cruciani (Samuele Editore)
Piano
di evacuazione di Flaminia Cruciani (Samuele Editore)
Aspetto
la caduta del cosmo
di
dare torto alla ragione
libera
dal disagio della certezza.
(p.33)
Nelle mie letture – e recensioni – ho
incontrato più volte la poesia di Flaminia Cruciani, e l’impressione ricevuta,
pur con le dovute differenze correnti tra le opere, è stata quella di un continuum lirico puntuale, stentoreo,
caratterizzato da potenza, classicità, originalità. Poche, come lei, hanno il
dono di far coesistere negli stessi versi tali segni qualitativi, posti a una
distanza siderale dalla meschina routine del poetese. Dopo Lapidarium e Semiotica del
male, quest’ultima raccolta, Piano di
evacuazione, Samuele Editore, 2017, non lascia adito a dubbi rispetto al
talento e all’attitudine di “lacerazione” della poetessa. Fin dai primi versi della silloge traspare l’effetto, a un tempo
deflagrante e icastico, del sentire crucianiano: «Partecipo al destino della
materia / provo il mondo mi sta stretto / cammino fra pagine di fuoco a piedi
nudi» (p.19). Ci vuole una buona dose di coraggio per classicizzare la
postmodernità, da alcuni ritenuta inesistente e posticcia, eppure così presente
e viva, così primitiva nel suo essere già altrove, e coraggio ci vuole per
considerare l’ipotesi del fuoco, di un originario e attualissimo pýr, come possibilità di un cammino
poetico. La Cruciani sembra la cantrice di un profondo disfacimento, uno
sfasciume mitico dell’estremo nichilismo dell’oggi, partoriente l’unica vera
poesia, quella che non accondiscende mai alla soddisfazione escatologica, ma
pungola, morde, forgia termini di dolore apocalittico: «Non ho sangue umano /
ma linfa in chiave di sol che scorre nel mio venerdì / gigliocchi fioriti come
demoni d’ombra [...]» (p.23). I tratti di una spiritualità cava, forse
abissale, si intrecciano – saporosi cirri – con la nuda materia, donando al
versificare dell’autrice una forza ora centrifuga ora centripeta rispetto al
reale: «Me lo ha detto Heisenberg / guarda la realtà e lei collassa / ma allora
la realtà è quella che sto guardando / o è quella che avrei potuto osservare
senza guardare?» (p. 39). Leggendo i versi della Cruciani si prova una strana, primordiale
inquietudine psicosomatica: un brivido percorre la schiena, come di fronte a un
testo millenario, forse un tempo proibito. Elementi di una surreale e liminare fisica
quantistica e di geometrie trans-euclidee sembrano alterare il senso del
tangibile: «Nel fondo dell’occhio / corre nuda la fiaba postuma del reale /
nell’istituto insofferente del mortale
non vedo». (p.49). Ebbene, liquidità e impasto materico coesistono,
metafisica e ultrafisica condensano, plasmando un universo umano vicino eppure
lontanissimo, dove il Vacuum richiamato
dal titolo precorre una volontà di disvelamento: «Al diavolo l’intuizione dell’ente
/ lo schematismo trascendentale / il carico fiscale dell’appartamento cognitivo
[...]». (p.58).
Piano
di evacuazione è una mistura alchemica di versi
roventi e paure glaciali, in cui la poetessa, a mio avviso, pugna poeticamente erga omnes, non risparmiando nessuno,
neanche se stessa, poiché Pòlemos, in ultima istanza, ricordiamolo, è padre di
tutte le cose.