CONCORDANZE E APPROSSIMAZIONI di Francesca Marica (Il Leggio Libreria Editrice)
Concordanze
e approssimazioni di Francesca Marica (Il Leggio Libreria Editrice)
«Tutto accade
nel perimetro delle cose
improvvise.
Dicevano che era di fibra forte
lo si capiva dal modo di salire le
scale,
dal modo in cui il corpo occupava
lo spazio [...]».
(p. 33)
La lettura di Concordanze e approssimazioni, notevole silloge di Francesca
Marica, uscita per i tipi de Il Leggio Libreria Editrice, 2019, è un dono d’elevazione spirituale. Fa
commuovere il fatto che, di contro agli infiniti silos di timide poesiole, sia
possibile ancora un poetare scevro da piacenteria e portatore di una sana
euritmia lirica: «Come sempre è restare
/ tra gli spazi risparmiati dal silenzio. / Bisogna essere fatti per la luce / esserne
in qualche modo imparentati». (p. 23). Quella di Marica appare una poesia
lineare, pulita da ogni scorza di retorica e di sovrastrutture estetizzanti,
eppure incredibilmente fascinosa, forse proprio in virtù di un’essenzialità
panica, dove onnipresente si manifesta la ricerca del fondamento: «A me sembra di proteggere le cose / solo tenendole per
mano [...]» (p. 25). E la sostanza, l’essenziale, non può che mostrarsi nella
rinuncia alla fonia, nell’intima e quasi mistica assenza della parola/voce: «La
verità è che le storie le raccontano i silenzi». Il silenzio, questa dimensione
atavica, probiotica, è peculiarità di chi sa ascoltare la profondità delle cose
e in essa vede un legame stretto, strettissimo, con il nostro essere, a un
tempo, vivi/presenti e transeunti/assenti. I versi di Marica sembrano
ricordarci che la parola contravviene il silenzio e, così facendo, intacca la
materia indefinita dell’ápeiron,
forgiando una possibilità di stare al mondo. La parola crea nominando, è verbum che mette in essere ‘chiamando
per nome’: «Nel primo incontro del nome / una tana tra cosa e cosa. / Regalami
una sillaba contro il vuoto, / la perdita del Novecento sta tutta / nel palmo
di una mano». (p. 41). E dunque il vuoto, il vacuum che destabilizza e pur tuttavia offre l’alternativa di una
riflessione mai del tutto esaurita – quella sul Secolo breve – che, in qualche
modo ci ha lasciati orfani del grande pensiero, poiché proprio dagli anni
tremendi dell’antiumanesimo, di
Auschwitz, della Siberia, delle atomiche, delle stragi, dei fiumi di sangue che
hanno sommerso le coscienze, il pensiero, l’arte, la poesia, hanno tratto linfa
vitale. Nondimeno, è sempre la ‘parola assente’ che illumina il sentiero dell’essentia, quel silenzio che ritorna più
volte nei versi dell’autrice: «C’è un silenzio che è sintesi / da molto lontano
/ dove vive l’acqua e io non so stare [...]». (p. 49) e ancora: «Basterebbe il
silenzio rotto della sera [...]» (p. 50). Tuttavia, il silenzio non appare una
rinuncia, un tirarsi indietro rispetto all’esistenza, giacché i versi
dell’autrice sono coraggiosi, forti, incredibilmente legati alla terra, a quel
‘sì alla vita’ di matrice nietzschiana che echeggia sulla raccolta: «La vita è
un mangiarsi dal di dentro [...]» (p. 52), e «Nuotava in alto / ma era la terra
che cercava [...]» (p. 56). La poesia di Marica è consapevole, oseremmo dire
destinale e, per questo, meritevole di grande attenzione. Nell’incontrarla, un
sorriso di speranza si è acceso all’improvviso: la poesia non è ancora morta.
E, se anche lo fosse: viva la poesia! Care amiche, cari amici, invitandovi alla
lettura, vogliamo congedarvi con questa piccola grande gemma: «Dare un nome ai
desideri sbagliati / festeggiando in ritardo quelli mancati. / Ci sono
banchetti che predicono attese / tra reliquie benedette dalle mani di santi
senza volto. / È che ognuno riscrive la propria biografia come può. // Mai
farsi confondere dalle acque, subito allontanarsene». (p. 62).