IL RITORNO di Dora Elia (seconda parte)
Per Spazio Autori di Linea Carsica la seconda parte de "Il Ritorno", racconto di Dora Elia. Giovedì 24 gennaio, la terza e ultima parte. Giovedì 31 sarà la volta di un "altro" piacevole ritorno sulle pagine di L.C. Ma di questo, non anticipiano nulla al momento. Buona lettura.
È nei tuoi occhi tristi che sono
inciampata, di ritorno, il giorno prima di ripartire.
Dovevano accompagnarmi a casa mio
fratello e Giovanni, in auto, ma la voglia di camminare sui miei passi lungo le
strade dell’infanzia mi ha portato da te, vicino all’Immacolata.
Il sacro e il profano.
Io&te e una cappella, alle nostre spalle.
Un ciao, banale, stridulo, strano e tu hai alzato lo sguardo e me lo
hai lanciato addosso, come una rete a maglia stretta.
Non è stato il tuo ricambiare il
saluto, né il mettersi a parlarmi come se non lo facessimo dalla sera prima a
catturare la mia attenzione, a smuovere qualcosa infondo allo stomaco.
Sono stati i tuoi occhi, immutati
nel tempo, con lo stesso carisma, se un’occhiata può avere carisma su un’anima,
sulla mia così ribelle soprattutto.
È stato come essere guardata
nella tua Uno bianca- quando eravamo ragazzi e tu del mio amore non volevi
saperne- per la prima volta con interesse, con passione ricambiata.
Sono state le tue iridi
cangianti- non ho mai capito se sono verdi, grigie o marroni, mi piace pensare
che siano la sintesi di questi colori, tutti e tre e nessuno a seconda degli
umori che vi guizzano dentro- a farmi fermare per parlare di noi, dei quindici
anni in cui ci siamo persi e durante i quali tu, mi hai detto, ti sei spesso
fermato a rimproverarti per il male che mi avevi fatto e a interrogarti su cosa
ne fosse di me senza di te, della mia serenità intuita nelle passeggiate-
spiate- accanto ai miei ex, anche quando avevi una donna accanto.
È questo quello che chiamano
ritorno di fiamma?
Questa morsa che toglie il
respiro anche se non vuoi? Quest’agitarsi dentro, incontrollabile, che ti fa
dire torniamo al mare, come i vecchi tempi, ho bisogno del sale sui vetri?
Non mi piacciono le minestre
riscaldate, però il primo amore non si
scorda mai.
L’incoerenza di queste due
proposizioni messe una accanto all’altra, due luoghi comuni a fronteggiarsi
apparentemente senza senso sono la descrizione perfetta del mio stato, di
quello che ho battezzato il ritorno nel
ritorno.
Tornare a casa per ritrovare la
tua terra e doverti sperimentare, da adulta, di nuovo, ancora con l’amore, ma
non un amore nuovo o qualsiasi, ma con lui
che è stato il primo.
E il primo non si scorda, mai,
nemmeno se t’impegni forte a cancellarne la memoria.
Nemmeno se non ricordi più le sue
forme sotto i vestiti o come muoveva le sue labbra sulle tue.
È una maledizione, una congiura
contro il tuo buonsenso.
L’asfalto sotto i piedi dove un
tempo c’era il basolato mi sembra meno terribile del senso di smarrimento che
m’attanaglia, che vince l’orgoglio di respingere i suoi baci e correre via
lontano.
Senza che gli dicessi nulla, mi
ha portato in quel fazzoletto di scogli di fronte al mare che era il nostro di
un tempo, proprio nell’angolo che è rimasto uguale ad allora, quasi intuisse il
mio disagio davanti al cambiamento, al progresso che ha mutato le forme amate,
gli spazi che non sono più le mie tasche note se ora li guardo e non li
riconosco.
Mi ha portato davanti alle onde
d’inverno tempestose per abbracciarmi e baciarmi le mani, chiedendomi perdono.
Perdono.
Ho bramato per anni che quella
parola uscisse dalla sua bocca di miele e adesso che avevo quasi scordato il
desiderio di sentirmi chiedere scusa, eccola lì, davanti alle mie orecchie,
mentre siamo stretti di fronte al mare.
E lui lo sa che di fronte al mare
non si può mentire.
Non a me, almeno.
Ha gli occhi lucidi, mentre me lo
dice e mi passa una mano tra i capelli corti come un tempo.
Lo sguardo- quello che mi ha
fregato di nuovo- è sincero, pieno di emozioni che erano le mie, in passato, e
che stento a riconoscere in lui, l’uomo di ghiaccio dei no che mi hanno fatto piangere.
Ecco, il manico è adesso nelle
mie mani, potrei conficcargliela dentro, ben in fondo, la lama del coltello
della vendetta e, dopo tutto il trascorrere del tempo che è passato tra noi,
dirgli fredda, crudele: “Ora capisci cosa si prova ad esser rifiutati?”.
Non lo faccio, anzi, non la sento
nemmeno tra le dita questa possibilità.
Non sono in grado di odiare, è
stato sempre un mio grosso limite.
E non so resistere al fascino di
chi chiede scusa.
Sono vittima del perdono, nel
darlo e nel riceverlo.
Questa volta, però, è dolce il
mio carnefice. Ha mani delicate lungo la mia schiena e sul viso.
Ha i baci dell’amante, non del
predatore.
Sono più di una crocetta
sull’agenda degli incontri, lo sento. E mi fa paura.
Solo baci e carezze, come si
conviene nel primo incontro della nostra generazione, niente sesso anche se la
pelle brucia e i corpi tremano.
Le parole s’inseguono e sono ricordi,
battute per accendere sorrisi, racconti di ciò che è stato nell’assenza, nel
rincorrersi delle stagioni trascorse parallele.
Non mi ha mai dimenticata, dice.
Io mento dicendo che lo ritrovo
solo ora, che ho sempre escluso il ritorno e negli anni ho cancellato l’idea
della sua ombra accanto alla mia.
Non credo intuisca la bugia,
perché mi sussurra, lieve, all’orecchio, che ho fatto bene a cancellarlo, a
cacciarlo lontano dal mio esistere, che non merita nulla e questa sera è un
dono troppo grande per chi ha ferito come lui.
Non me la sento di essere
romantica e di dirgli che no, non è vero che ha mi ferito, che, anzi, il suo
essere con me dei giorni andati mi ha reso la donna che sono, quella che i suoi
simili annusano a piccole dosi con religiosa devozione e fievole speranza di
conquista.
Mi limito a baciargli il collo e
a dirgli, decisa: “Non ci pensare più, è stato bello trovarsi…”
“O ritrovarsi? Non so quale verbo
abbia più senso per noi qui, adesso…” mi bisbiglia, attirandomi a sé, a quel
petto che per troppo ho sognato come porto sicuro anche se sapevo difficile da
raggiungere, quasi impossibile al mio approdo e che ora è qui, sfacciato,
forte, a farmi scudo dalla tramontana e dagli spruzzi freschi di acqua e
salsedine.
Sembriamo due ragazzini al primo
appuntamento e due amici nell’ora delle confidenze.
Sembriamo tutto quello che per me
è l’amore, ma ho quasi quarant’anni e pesa questa promessa di volersi bene
accennata tra le ciglia che sbattono maliziose sulla notte che, piano, scende
su noi due, ritornati a conoscerci, a riconoscerci davanti al mare immutato,
malgrado tutto.
E poi tra qualche ora sarò su
quel dannato aereo, in volo verso Feltre, di ritorno nel luogo dove abito adesso, ad attendermi il solito lavoro e due amici
ai quali non racconterò tutto questo, ma che forse me lo leggeranno negli occhi
neri da cerva spaesata.
Del resto, il primo amore non si scorda mai.
Né se ne cancellano le tracce dal
viso o dal cuore.