E se nel giallo ti vedrò di Marcello Buttazzo (I Quaderni del Bardo)
E se nel giallo ti vedrò di Marcello Buttazzo (I Quaderni del Bardo)
Il giallo, colore più prossimo alla luce,
ha in sé la natura del chiaro
e perciò possiede una qualità
di serenità e di gaiezza.
(J.W. Goethe, Teoria dei colori, ‘765’)
We
take the form
of our uncertainty
(Gil Ott, The
children, in The yellow floor, p. 19)
E se nel giallo
ti vedrò
sarà per tenere
acceso il sole
(Marcello Buttazzo, E se nel giallo ti vedrò, p.
31)
Sulla
poesia di Marcello Buttazzo che, va ribadito, consideriamo uno dei più
importanti poeti lirici viventi (non solo salentini), abbiamo scritto più volte
su questo blog. Seguiamo il suo percorso e la sua evoluzione da anni, dunque. E
tuttavia non ci siamo assuefatti al suo modo di tessere versi, così che egli
riesce sempre a sorprenderci con l’incanto dei componimenti, soavi, leggeri e
colmi di vitalità fin dalla prima pagina: «Ruscellare / fra la pioggia che
scende / per bagnarsi di gocciole benedette […].» (p. 25). Un arcipelago di
passione che si mescola a un profondo senso riflessivo tiene legate le liriche
di questa splendida raccolta, in cui l’anima dell’eterno fanciullo abbraccia il
lettore per donare, senza nulla chiedere, amore, cura, carezze. Eppure, l’autore
è figlio del nostro tempo, con le sue difficoltà e i suoi abissi; egli, verbigrazia,
conosce le lacune dell’umano, le mancanze, i luoghi dell’angoscia, il cruccio dell’Angst
di Heidegger, dell’«essere-gettati-nel-mondo» e il timore esistenziale di Kierkegaard, e non
ha paura di affondare la penna nel deserto della nostra condizione di creature
fragili, che vivono in spazi anch’essi affetti d’afflizione, soprattutto per nostra
volontà o incapacità di mostrarci empatici, di entrare in sintonia con l’altro:
«S’apre / il mattino / di puro diamante. / S’apre / l’alterno destino / degli
uomini. / La terra è fraterna, / la terra è ferita. […]» (p. 27). Poi, vi è la
donna, la figura femminile, immancabile nell’iter intimo e universale di
Buttazzo, la musa che ammalia e stordisce, ispirando all’autore momenti di
suprema poesia: «Ti vorrei vedere / nel mio campo. / Bramosia / sulle tue gote,
/ mille calie / e un amaranto. […]» (p. 29) e ancora: «La tua voce m’incanta, /
la tua voce mi strazia […]» (p. 35). Ma tra le figure rilevanti della poetica
buttazziana, compare anche il padre, l’affetto atavico, naturale, di sangue,
che accompagna l’autore nell’alto del sentire umano prima ancora che
letterario: «Stamane, / caro padre, / sono venuto / sulla tua tomba / per
sentirmi ancora vivo […]» (p. 39). Non può sfuggire, inoltre, il pensiero che il
poeta rivolge al popolo ucraino, martoriato da una guerra inutile e orrenda, come
tutte le guerre, e la sua invocazione al divino, simbolo di una futura e auspicata
pace: «[…] Alla ricerca d’un Dio possibile / della misericordia, / uomini sporcati
/ dalla ferina mano / di altri uomini […]» (L’Ucraina piange, p. 45). La
sensibilità d’animo dell’autore, dunque, traspare da liriche ispirate, vissute,
potenti, che risuonano come urla dell’uomo, non tanto per inveire contro un
ineludibile, capriccioso e astratto fato, ma per innalzare una richiesta d’aiuto,
per favorire un segno di ritrovata umanità e vicinanza alle persone. Bellissime,
inoltre, le parole che Buttazzo dedica alla sua terra e, in particolare, al suo
paese, nido d’infanzia, culla di antiche gioie e giorni spensierati,
incredibilmente vivi e veraci, che sono conforto e rimembranza, oasi temporali
nel deserto in cui spesso ci ritroviamo, piccoli luoghi dell’anima che
tracciano segni ancora gravidi di futuro: «Quando il rovello / s’incendia / e l’esistenza
m’avvilisce, / sei il pensiero insaziato. / Sei miraggio / come quando la
vita-rincorsa / non era che semplice corsa / galoppata bambina / dietro un
pallone / su selciati sterrati […]» (Alla mia Lequile, p. 47). Il lettore
più attento, infine, saprà apprezzare la consueta cura che Marcello Buttazzo rivolge
alla lingua, alla musicalità dei versi, alla scelta dei lemmi, confermando lo
stato di grazia dell’autore.