Nel lontano-vicino inquieto / MATRIOSKE di Beatrice Impronta per Gammarò Editore



Se è vero che la poesia nasce dalle anime sensibili, da quelle anime che più di altre guardano al mondo con gli occhi del bambino – senza, per questo, peccare d’infantilismo – allora bisognerebbe leggere il verso con la stessa meraviglia dell’infante, con gli stessi occhi non ancora avvezzi ai pervertimenti del mondo. E la meraviglia del senso primitivo (ché il bambino è il pitecantropo dell’uomo adulto) mi ha colpito leggendo Matrioske di Beatrice Impronta, Gammarò Editore, 2011. Una raccolta di liriche sorprendente, sia per le tematiche trattate che per l’intensità espressiva, paragonabile, quest’ultima, a un fiume in piena che tutto travolge o, ancor di più, ad un oceano di emozioni/sensazioni di inaudita potenza. Non c’è bisogno di scomodare il Giacomo nazionale per ricordare quanto piacere faccia annegare in questo mare, quantunque si abbia la fortuna (sì, al giorno d’oggi si tratta quasi di fortuna!) di imbattersi in un verseggiare sincero e scevro da concettualizzazioni cervellotiche lontane dal vissuto quotidiano. Sensuale la liricità della Impronta. Come sensuale è la vita, pur con tutti i suoi lati oscuri. E seducente, come solo la doppia presenza di contrari sempiterni può essere. In un gioco di vita e morte, caldo e freddo, luce e buio. Poi, il mistero della matrioska. Quell’essere nell’essere. Quell’esistere nell’involucro e oltre l’involucro. Ecco, la poesia di Beatrice Impronta è una poesia dell’oltre. Un oltre che non è lontano, non irraggiungibile, non intoccabile dall’essere umano, bensì vicino, vivido, che si può sfiorare con la mente e con il corpo. L’andare oltre comporta da un lato la cognizione di un limen, di un bordo, di un qualcosa di oltrepassabile, di valicabile; dall’altro l’atto stesso dell’oltre-passare, di arrivare in un luogo che non è più quello precedente. La poesia, tutta la vera poesia, è in quest’oltre immanente. Oltre i muri, oltre i recinti, oltre le confezioni psicofisiche. Ma è qui, vicino a noi, nelle nostre vite. Il lirismo di Matrioske va al di là delle singole pupattole, delle vite inglobate nel contenitore, per spingersi nel lontano-vicino, con il suo essere succosamente inquieto. Questa poesia, delicata, raffinata, dolce e, al contempo, ruvida, permeante, immanente, risveglia desideri assopiti, apre le porte di infiniti mondi, fa vorticare i pensieri. Non resisto alla tentazione di pubblicare integralmente la lirica Va’ piccola mia: “Va’ piccola mia, / adesso non avrai più bisogno del tuo guinzaglio-aquilone / per volare. / Perché tu ora sei il cielo. / Non avrai più bisogno delle mie parole e dei miei gesti / per sognare. Perché tu ora sei un mondo fatato.. / Non avrai più bisogno di me… / Perché tu ora sei in me. / e io sono te. / Sarò i colori del tuo aquilone / sarò la tua fata e il tuo bosco incantato / sarò ovunque per sempre. / Attraverso te”. Infiniti mondi, dicevamo poc’anzi. Nell’apparente semplicità di questi versi ci sono. C’è il mondo, c’è l’infinito. E l’amore. Un amore senza tempo né spazio. Un sentimento ancestrale che aleggia su tutto e tutti. Perdonate il trasporto, è che mi emoziono. Ancora. Per fortuna. Ma non è solo fortuna, è che esistono ancora i poeti (questo sì, per fortuna!). E i poeti trasformano l’assenza in presenza, anche quando sembrano inneggiare  alla prima: “Danzeranno su di te / i miei baci di zucchero af-filato / Trafiggeranno i pori / dei tuoi sensi / Penetreranno gli antri / occulti della tua esistenza / quando con le ali della mia sorda / assenza / ti farò volare via / e con la rugiada dei miei sogni / ti lascerò andare”, Danzassenza.

 Articolo pubblicato sul numero di venerdì 11 gennaio 2013 del quotidiano "Il Paese Nuovo".

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