Un iter soletano (ancora su Tafuri). Parte 2


A questo punto dell’itinerario, avendo raggiunto il domus del nostro, ci si aspetterebbe uno stop, se non definitivo almeno prolungato. Ma sarebbe un torto tralasciare così, senza neanche un cenno, altri luoghi soletani, intesi non solo come testimonianze monumentali o come luoghi di storia, ma anche come luoghi geometrici[1] ricchi di simbolismo, densi di storia e di storie, ognuna con le sue particolarità e suggestioni.
In questo modo, proseguendo per via Tafuri, ci immettiamo su via Perrino, raggiungendo il largo della Chiesa Madre. Questa risale alla fine del XVIII sec., e prende il posto di una ben più antica chiesa medievale di rito greco[2].
Il campanile[3] della chiesa, elevato a monumento nazionale, è la guglia che Raimondello Orsini del Balzo, conte di Soleto[4], fece erigere nel 1397. La guglia, alta ben quarantacinque metri è il simbolo di Soleto. Un’esplosione di ricchezza, di fantasia di decorazioni: fiori, archetti, teste scolpite, colonnine, mettono in difficoltà l’osservatore, confondendolo e facendolo smarrire in una miriade di cose che sembrano ruotare vorticosamente e senza pace. Quando si parla della guglia di Soleto non ci si può esimere dal menzionare la leggenda[5] popolare che la vuole eretta dalle streghe e dai diavoli in una notte tempestosa. Capo dei lavori non poteva che essere Matteo Tafuri, il mago. Il tutto si svolse ad una velocità soprannaturale, ma ci fu un imprevisto: la luce dell’alba e il canto del gallo colgono impreparati questi occulti costruttori, così che l’opera viene interrotta e i diavoli vengono pietrificati ai quattro angoli della guglia.
Fuori da leggenda, al termine del Trecento Raimondello diede inizio all’edificazione della guglia, una costruzione senza precedenti nel Salento, per imponenza e valore socio-politico.
Nel 1323 Soleto rientrava nella definizione di casale, in altre parole un centro abitato privo di mura di recinzione, porte d’accesso e torri. Un borgo rurale aperto, sprovvisto di fortificazioni, eccezion fatta per le torri di avvistamento.
Il clero di rito greco e la maggior parte della popolazione, non dovette vedere di buon occhio quella costruzione, che altro non era – o non appariva – se non un monumento alla magnificenza del principe. Una celebrazione della sua potenza, ma non solo, era anche un pezzo di latinità che piombava come un fulmine al ciel sereno a turbare le tranquille notti della grecità. Il rifiuto degli ecclesiastici greci si alimentò del malcontento della cittadinanza, tra cui c’erano personalità di spicco, come il nostro. A voler cercare un significato profondo della leggenda tafuriana, si potrebbe scorgere “una sfida greca, alimentata dal vento dei timori, dei sospetti e delle congetture sacrileghe”[6].
Nella realtà dei fatti, però, la Chiesa divenne proprietaria della guglia, e, come in precedenza ricordato tentò anche la strada per una conversione della stessa a campanile, e quindi da strumento laico – simbolo di un umanesimo troppo libertino – a strumento religioso e spirituale. Ma l’esperimento campanario fallì, e la guglia ritornò alla sua funzione originaria, per l’epoca tutt’altro che disprezzabile, di torre d’avvistamento

(Nota bibliografica: Luigi Manni - Dalla guglia di Raimondello alla magia di messer Matteo / Luigi Manni. - Galatina : TorGraf; Luana Rizzo - Umanesimo e Rinascimento in Terra d'Otranto: il Platonismo di Matteo Tafuri: Besa Editrice).






[1] Qui si intende per luogo geometrico, un luogo con diverse valenze: dalle più “semplici” valenze storiche e monumentali, alle più complicate, ma non meno affascinanti, valenze architettoniche – intese anche e soprattutto come calcolo geometrico-matematico. Non sfugge, a chi si sia interessato alla filosofia e alla letteratura magica, un richiamo al pitagorismo e al simbolismo posto dietro ai numeri e alle costruzioni che con i numeri sono innalzate.
[2] Il rito greco scompare da Soleto alla fine del XVII sec.  Di questo di parlerà più avanti.
[3] La guglia orsiniana non fu edificata con destinazione campanaria, anche se a un certo punto l’Ecclesia soletana ritenne opportuno dotare di campane la torre. Queste però non ebbero vita facile, resesi co-responsabili, insieme al maltempo, dei danni subiti dalla guglia, furono rimosse. 
[4]  Fu Giovannantonio Orsini del Balzo, principe di Taranto e conte di Soleto, figlio di Raimondello a completare la costruzione della guglia, riprendendo là dove l’aveva lasciata il padre.
[5] Una sezione particolare del libro si occuperà di questa leggenda.
[6] Dalla guglia di Raimondello alla magia di messer Matteo, Luigi Manni, p. 17.

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