GHIACCIO NERO di Giulio Marchetti (Giulio Ladolfi Editore)
Ghiaccio nero
di Giulio Marchetti (Giulio Ladolfi Editore)
Resto
qui
dove un singolo passo
calpesta a morte
i primi petali di ciliegio.
Aspetto che il sole scenda
al livello della terra
per nutrirla
almeno un poco,
un poco farla essere di più.
dove un singolo passo
calpesta a morte
i primi petali di ciliegio.
Aspetto che il sole scenda
al livello della terra
per nutrirla
almeno un poco,
un poco farla essere di più.
Via Lemonia,
p.42
Se
vi fosse la possibilità ontologica, fenomenologica ed estetica di ricondurre le
radici di certa poesia postmoderna di matrice neo-esistenzialistica alle scritture-partiture
New wave e Post-punk di Ian Curtis o di Peter Murphy, potremmo affermare che il
versificare di Giulio Marchetti ben codifica (e solidifica) questo fantasmagorico
salto pluridimensionale. Il preludio di Ghiaccio
nero, raccolta poetica del summenzionato autore, Ladolfi, 2015, lasciato
alla programmatica Orlo, una lirica che potrebbe essere considerata un
manifesto dell’universo poetico di Marchetti, rappresenta, a nostro avviso, la
quintessenza di un jeu de massacre in
cui anima e corpo vengono gettati nel calderone dell’emozione senza filtri, e
ben sintetizza l’abisso spazio-temporale cui la Poesia si sottrae solo con
parole-stiletti: «[...] Tra i nostri
nomi / una foglia che cade / tra il primo / e l’ultimo respiro» (p.11). Dimensioni
poetiche universali come il “niente”, il “nulla”, l’“invisibile”, l’“immenso”,
sono declinate senza veli né fronzoli imbellettanti, attraverso un uso della
parola che appare quasi magico-sapienziale, ma foriero di una chiave di lettura
post-industriale: «Chiedo luce a questo niente / e poi torno a subire / il
silenzio» (Scintilla, p. 15); «[...] E
il mio essere suda / fino a stringersi / in una sintesi oscura / così simile al
nulla / da renderlo invisibile [...]» (Se
solo fossi mio, p. 16). L’impulso estremo dell’incisione/incisività verbale
presente in Ghiaccio nero – mai incatenato
a schemi preconfezionati e mai compiacente rispetto a facili leziosità à la page – trova in diversi frangenti un’alta
tensione poetica: «Per scrivere poesie d’amore / è necessario raccogliere /
appositamente / inchiostro rosso / dalle vene» (Lama, p. 23). L’autore sembra muoversi tra figurazioni liriche e cromie
universali – come la morte, il vuoto, la paura, l’amore – con un’imperturbabilità
autentica (ci vengono in mente alcuni passaggi di Attilio Bertolucci o taluni
momenti narrativi di Sebastiano Vassalli), anticipando sempre di un passo la dicotomia
“principio-fine”, caricando il verso di suggestioni spesso sibilline, e che
tuttavia sanno rischiarare la parola poetica, donando al lettore baleni di
condivisa intimità: «Chissà da quale preistoria / nascono i baci / che
appartengono / all’alfabeto del silenzio» (L’alfabeto
del silenzio, p. 43). Infine, in Ghiaccio
nero, le verità inconosciute o, se conosciute, il più delle volte taciute, sembrano
trovare uno spazio silente, che non aspetta altro che urlare nell’istante dell’incontro
poetico.