DODICI ORE di Mariachiara Rafaiani (Edizioni La Gru)


Dodici ore di Mariachiara Rafaiani (Edizioni La Gru)





            «[...] Siamo soli nella gioia, prima e dopo

ed il destino ci scavalca sempre

L’altezza dei turbini che c’incantano

c’insegna a mettere radici [...]»

(Giardino Santolini, p. 71)









Accade raramente d’incontrare espressioni poetiche che abbiano un’elevata forza immaginifica, la cui Parola si fa apparizione, manifestazione di un Logos divinamente ispirato e, nel mentre che i versi si imprimono sulle pagine, sembra lasciare il bianco supporto per originare interconnessioni spazio-temporali simili a visioni fenomenico-analogiche. È il caso di Dodici ore di Mariachiara Rafaiani, Edizioni La Gru, 2018. Un’opera in cui la figura di Rilke, richiamata più volte nelle citazioni, svolge quasi una funzione di nume tutelare, confluendo nel tono lirico della giovane poetessa recanatese. In queste poesie, la geografia dei luoghi fisici diviene geografia antropica, di più, mappa del sentire ontico: «[...] Mi siedo sulla marea dei miei cicli / lune che continuano a sorgere / Fermata a Malaga davanti ai ponti del porto [...]» (Andalusia, aprile, p. 13). Le dimensioni spazio/tempo si sciolgono in attimi spaziali e in spazi temporali, dove Kronos e Aion si incrociano, ora dilatando ora accorciando gli istanti: «[...] Le tartarughe vivono per anni / con lentezza affrontano la nostra frenesia [...]» e ancora: «[...] E anche se la fortuna non esiste / ti regalo un quadrifoglio / Tanto spero che le mie concezioni d’eternità, / ora donate a te, / si concretizzino [...]» (p. 20). La poesia della Rafaiani percorre sentieri sghembi, poco battuti, e proprio per questo suggestivi; immersa in una sorta di realismo magico – tra l’altro rievocato dalla figura di Felice Casorati – dona al lettore un viatico metafisico, straniante: «Le strutture erano accantonate / depositi in mattoni rossi e cemento / lanciati dal sole oltre le rotaie / Si va sempre verso qualcosa [...]» (p. 29). Il rapporto con le cose inanimate (che tanto inanimate non sono), la forza immaginifica del qui e dell’oltre, la pluridimensionalità, e poi l’Esser-ci, l’essere-gettati-in che porta alla mente la matrice heideggeriana, elementi poietici che qui appaiono come qualità dell’universo antropico ed extra-antropico: «[...] Il silenzio delle pietre e dei rimasugli verdi d’alghe / Le parenti invisibili su infrangersi e le cose / che bisogna lasciar stare» (p. 39). La densità dei componimenti indica una maestria non solo induttiva ma anche intuitiva: l’autrice sembra essere sospesa tra l’esprit de géométrie e l’esprit de finesse, condizione per cui la ricercatezza dei lemmi e l’emozionalità lirica tendono ad attraversare l’intera silloge: «Quando ti fu levato il verbo / non era il verbo / Le mie temperature impazzivano / e tu non eri lì per allontanarti [...]» (p. 41). Infine, ciò che di questa raccolta colpisce, tra l’altro, è l’autorevolezza quasi ieratica della scrittura che, considerata la giovane età della poetessa, appare come un’inattesa ragione d’esultanza che fa ben sperare per il futuro della poesia italiana. 

Post più popolari