FRA LE PIEGHE DEL ROSSO di Marcello Buttazzo (I Quaderni del Bardo edizioni)

 


Fra le pieghe del rosso di Marcello Buttazzo (I Quaderni del Bardo)

 

 

            «Tu dammi

il colore della passione

e l’intreccio delle tue mani

strette alle mie,

ch’io possa contenere

tutta la leggerezza

del mondo».

(p.17)

 

 

 

 

In questi ultimi anni abbiamo incontrato più volte – con gioia ed entusiasmo – la poesia di Marcello Buttazzo, a nostro avviso, uno dei più evocativi e autentici poeti lirici contemporanei. Il suo Io poetico e il suo stile, riconoscibili tra mille, ci hanno donato sensazioni ed emozioni rare e alte, poiché pregne di un eccelso e sincero lirismo. Il nostro stato di meraviglia, il primitivo thauma provato davanti ai versi di questo poeta, si è risvegliato leggendo Fra le pieghe del rosso, I Quaderni del Bardo, 2022, la sua più recente pubblicazione. Si tratta di un’opera soave e delicata, eppure di incredibile intensità: «Nella terra / di sangue carminio / la traccia, il nome» (XIV, p. 35) e ancora: «Sogno / il tuo viso / arreso / al color d’amore» (XV, p. 37). Leggendo quest’ultima raccolta poetica di Buttazzo, si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte a un classico contemporaneo della poesia italiana. La padronanza della lingua, la bellezza delle immagini, la perfezione e la proporzione dei versi: tutto converge in direzione di una piena maturità artistica. Anima e animus dell’autore sembrano ormai coincidere nella sua ricerca della parola scritta: è il dono del grande pathos del poetare, da cui s’avanzano i temi sempiterni del sentire umano. L’amore, l’afflizione, l’anomia, il riscatto, ogni cosa appartiene al poeta e il poeta a essa appartiene. In questa silloge sembra originare un moto di resistenza poetica, che non è contra qualcuno o qualcosa, ma pro: «Nessun chiodo / mi trafiggerà, / perché mi alimento / nonostante tutto / alla sorgente del tuo bene» (XXV, pp. 53 e 54). Così, l’amore, con la sua letizia e la sua pena, appare sublimato e siderale e, al contempo, immanente, attraverso la sensualità, l’attesa, i rimandi, i crucci, la riflessione, l’estasi lirica: «Guardiamoci ripetutamente / negli occhi: / c’è sempre una cadenza / per donarsi amore» (XXX, p. 61). Buttazzo, in modo intimo ma non intimista – ché gli “ismi” non sono cose da poeti – sembra intento a distillare parole da un’ara luminosa, da cui irradiano idee fulgide che egli raccoglie in logói eccelsi. E qui si compie appieno il senso originario della visione poetica come penetrazione della natura umana e universale, da cui scaturisce il termine idea – ossia il “vedere” (idêin): chi meglio del poeta azzarda il tentativo di dire l’indicibile, di scorgere ciò che nessun altro può distinguere? Egli, accorgendosi della vanità del tutto al di là dell’amore, intravede la vicinanza della notte e del suo tempo, scandito dall’impetuosa legge del nulla. Eppure, nonostante la consapevolezza del nostro essere transeunti, Buttazzo riesce a cogliere dei fiori perenni e dei frutti pregni di succoso nettare poetico: «La vita / è ciò che resta / e non passa: / fragore felice all’improvviso / oltre la cupezza / dell’insensibile giorno» (XXXI, p. 63). In maniera emblematica, nella precedente lirica il poeta, senza esitazioni e fingimenti, con la facoltà donatagli dalla Musa, partecipa della natura – la Physis – di cui il giorno, come frazione temporale è parte, conoscendone l’«insensibilità», ponendosi, dunque, in prossimità lirica e affettiva alla grande tradizione poetica, da Leopardi a Bertolucci, da Saba a Penna (quest’ultimo è omaggiato da Buttazzo in esergo). Nella tavolozza lirica del poeta salentino, i colori, che appaiono metafore vitali, attraversano l’iride – dall’azzurro al rosso, passando per altre numerose cromie – giocando ora col destino ora con le pieghe (ricordate dal titolo) dell’esistenza amorosa: «Se tu venissi / nel mio grano / a pescare / i pesci d’oro / fra i fiori scarlatti!» (II, p. 18); «Verrà / un’altra estate / e ti ritroverò / nel giallo oro del grano» (V, p. 24); «Ti seguirò / per riscoprire / un amaranto che pulsa» (XLI, 79). Oro, argento, rosso, carminio, scarlatto, amaranto: quanti sogni Marcello Buttazzo dipinge con i suoi versi-colori – il gioco di parole sembra accondiscendere al desiderio profondo del poeta di toccare i nostri cuori ed elevarli all’empireo del sentire. Fra le pieghe del rosso emana effluvi di rose e fiori di campo e bagliori d’immensa densità poetica, inebriando il lettore e ravvivandolo con i suoi luminosi versi: «La mia più dolce preghiera, / il rosario / da sgranare / lentamente, / all’alba» (XVI, p. 39).

 

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