PELLE E OSSA DI ALEKSANDR MALININ (I QUADERNI DEL BARDO)

 


Pelle e ossa
di Aleksandr Malinin (I Quaderni del Bardo)

 

 

Si è riversato il fiume,

è del tutto bloccato,

ed è rimasto solo,

né il pesce, né la carne.

Verrà meno, svanirà l’azzurro,

di colpo per tutta la profondità,

resteranno ossa e pietre, i versi

tutto ciò di cui siamo ricchi.

(p. 17).

 

 

Prima di inoltrarci nella lettura di questa interessante raccolta, Pelle e ossa di Aleksandr Malinin, I Quaderni del Bardo, 2022 (si tratta di una quarta edizione), desideriamo porre l’attenzione sul lavoro che questa piccola e indipendente casa editrice salentina svolge ormai da tempo: scoprire nuovi talenti e con questi intessere relazioni culturali proficue e durature. Il tutto con un respiro ormai internazionale, come dimostra proprio l’opera in questione, figlia di un giovane poeta residente a San Pietroburgo. La raccolta, curata da Paolo Galvagni, è impreziosita al suo interno da alcune immagini che sono sospese a metà tra le illusioni psico-visive e l’optical art, che donano un primo approccio spaesante al lettore, il quale intende, fin da subito, di trovarsi di fronte a un testo poetico potente, a tratti apocalittico, com’è giusto che sia a quell’età (Malinin è del ’91), l’incipit, difatti, è già un colpo al cuore: «Si dilata e si stringe / il buio, sensibile alla luce […]» (p. 11). Man mano che scorriamo le pagine, soffermandoci sui versi incredibilmente inqueti dell’autore, avvertiamo la sensazione di un tempo differente, insieme anteriore e posteriore, come di un futuro immerso nelle altre dimensioni temporali, complice la scelta delle parole, la composizione delle frasi e dei periodi: «Evapora, si raggruma l’uomo […]» (p. 25) e ancora: «Il bosco è guasto, il suo odore è infuocato […]» (p. 29). Le atmosfere e il senso di fondo, che sembrano spiritare la raccolta, accendono un ricordo indefinito ma eccezionalmente persistente di alcuni prosatori come Bradbury o Glaskin, i versi filo-meccanici e “industriali” di Majakovskij o le opere disorientanti di Malevič. Che un giovane poeta abbia la capacità, attraverso la propria scrittura, di suscitare dei rimandi nella mente di chi legge, nonché di risvegliare emozioni latenti legate a precedenti letture, è qualcosa di stupefacente ai nostri occhi. Leggendo Malinin si entra in un mondo che rievoca paesaggi desolati e romantici, quasi delle istantanee forgiate con le parole. Così, se David McMillan ha impresso con la sua macchina fotografica Chernobyl e Pripjat del post-esplosione, il poeta dipinge con i versi un mondo tra l’umano e un’altra, imprecisata forma di sentire che, tuttavia, appare inseparabile da quello: «Si è assottigliato il gambo / e si è profilata una frattura, / si inchinerà lì, / in un baleno si stringerà a te per sempre, / si staccherà, / come un seme» (p. 33). L’autore penetra a fondo nell’animo dell’uomo e, a nostro avviso, anche della sua terra, che levita a mezz’aria tra un progresso post-umano e un antico feudalesimo del cuore, fino a creare componimenti universali, simbolici, segnici: «Ciò che è alieno non ha attecchito, / ma è finito nel sangue, / ora, raggrumato come un trombo, / si nasconde […]» (p. 61). Ci accarezza poi l’idea, all’apparenza bizzarra ma alquanto suggestiva, di un’ideale congiunzione di Malinin con Čapek, l’autore di R.U.R. e dell’Affare Makropulos, o con Lang, il visionario regista che portò sugli schermi Metropolis, uno dei film più iconici della storia del cinema. Se uno scritto, come afferma qualcuno, una volta pubblicato non è più dell’autore ma dei lettori, allora noi affermiamo tale libertà con forza, confortando la nostra lettura, sicuramente parziale e opinabile, deliziandoci con i nostri viaggi nei meandri della poesia malininiana: «Si nasconde nel guscio, / come corazzata, l’anima, / sbrogliare la paura di soppiatto» (p. 63). In fin dei conti, anche se l’uomo ha tentato più volte di annientarsi, gli rimane quel barlume di senso, quell’atto d’amore per la vita e, nonostante tutto, un desiderio che si frappone come un argine a frenare la dissolvenza, un segno che forse solo i poeti e gli artisti sanno interpretare: «Vagabondiamo, ricordando il punto cardinale […]» (p. 67), e Malinin rientra a pieno titolo tra questi. Lettura consigliata.

 

 



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