UNA DATA SEGNATA PER PARTIRE di Vera D'Atri (Kolibris Edizioni)

Care Amiche, cari amici. Vi segnalo il primo lavoro edito di Vera D'Atri. Note di intensa e raffinata poesia, che sanno, ad un tempo, trasportare lontano e graffiare. Buona lettura.



Una data segnata per partire è la prima pubblicazione ufficiale di Vera D’Atri, raffinata e sensibile poetessa di origine romana da diversi anni residente a Napoli, città che con il suo esplosivo melange di sole, mistero, acqua e zone oscure pare esserle divenuta seconda madre non seconda. Proprio a Napoli, grazie alla mediazione di Rossella Tempesta, ho avuto il privilegio di sfogliare per la prima volta i manoscritti di Vera D’Atri, tagliati in A5 e rilegati a mano con cura, e ne sono stata immediatamente catturata fin dai primi versi, fino a dimenticare l’attorno, a smarrirmi, affascinata. Perché la poesia di Vera D’atri ha qualcosa di magnetico e segreto, che subito ti rapisce. Immagini non immediate e di non sempre facile codificazione ti trasportano, ora con dolcezza, ora con furia, in una dimensione onirica, in cui passato e presente, memoria, vissuto e contingenza si alternano nel vertiginoso caleidoscopio che è la vita. La vita delle persone care, degli oggetti, di ogni oggetto sfiorato, anche il più umile, osservato, rievocato con amore, spesso interrogato, ascoltato. La vita dell’anima, studiata in trasparenza, in un gioco di luci e ombre e riflessi cangianti.
La lingua di Vera D’atri è curata, elegante, ricca di riferimenti mitologici e letterari più o meno espliciti ma sempre discreti, che denotano un vasto background di letture e una forte consapevolezza espressiva. Risultando al contempo concreta, originale, sempre sorprendente. Nella poesia di Vera D’Atri luoghi, oggetti, situazioni, persone sono reali, presenti, eppure resta sempre in loro qualcosa si sconosciuto e inafferrabile, così come si presentano agli occhi della poetessa, che ce li mostra attraverso il velo fluttuante al vento imprevedibile della propria delicata e profonda sensibilità. Si ha così l’impressione che la poetessa si aggiri per la vita in punta di piedi, negli interni, così come negli esterni, quasi a non voler disturbare il corso degli eventi, l’apparente immobilità delle cose, la vita interiore dei suoi cari. Osservatrice acuta, se ne sta in un angolo, a guardare incuriosita se stessa e il proprio andare, spesso esitante, rispettoso e timido, verso la Vita e verso le vite. Per poi sorprendersi all’improvviso riflessa in uno specchio, proiezione del proprio sé più intimo e nascosto, riflesso – rivelatore o accecante –, moltiplicazione prismatica dell’impressione interiorizzata. Come sembra essere per Vera D’Atri la poesia stessa, che è abbandono docile al flusso della parola, da cui il poeta si lascia dire e contraddire, rappresentare o cancellare, velare o rivelare. In questo libro la parola si riappropria del proprio peso sostanziale, diviene cosa, non soltanto simbolo o icona. Ed è una parola tesa spesso fino a spezzarsi, gravida eppure sempre traballante sul ciglio di un vuoto abisso di silenzi.

[Chiara De Luca]
 
(...)
Certo quella di Vera D’Atri è una poesia complessa, criptica, a volte impenetrabile, ermetica si sarebbe detto qualche decennio fa. Ma è una poesia piena di significato e comunicazione di esso, perché si esprime per immagini indelebili: “a tratti, vanno incontro a / corti medicee di tanti malandati allori/ e poi di colpo il grano, spiga a spiga, / e accenni di colline che colmano i miei occhi”.
E ha un sottile dolore questa poesia, un crepuscolare senso della riflessione, della domanda rigirata come un rosario perpetuo in punta di dita, in punta di penna poi: “e torna il perpetuo sgominare, / le nocche contro il dio dei numeri / rosse al pestare”.
E tanta leggera e pesante autoironia, è in questa poesia, tanto guardarsi senza trucco né trucchi, in ogni possibile casuale specchio, anche nel riflesso di un attimo, per riconoscersi comunque e sempre vivi: “Qualche opportunità nel mese entrante, / la crescente disponibilità ad accettare altre opinioni, / il mangiare educato, la dorata vita di borghese, / anche senza che di paradiso vi sia traccia/ […] / varrà a comprarti il mio intatto sorriso”
Davanti a una opera come questa mi viene da pensare che il poeta non sia stato ispirato, ma piuttosto abbia inspirato, a lungo, profondamente, abbia bevuto nel respiro il mondo circostante, la sua vita stessa e la propria presenza in quel mondo, e dunque l’abbia resa nell’atto silenzioso e corale che è la vera Poesia: “Tale è il potere delle cose belle. / L’alba si schiude a memoria d’alba / e ai miti della lotta contro il nulla / e tale è l’acuto del desiderio, / che spezza purpureo / l’incantesimo del cieco.”
Non è un paese per vecchi si intitola quel film favoloso dei fratelli Cohen, e “non è un mondo per poeti” mi pare di poter dire senza che nessuno si prenda neppure la briga di smentirmi; (...)

[dalla prefazione di Rossella Tempesta]

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