MINIMA FENOMENOLOGIA DEL DETERIORE
L’onomatopeico
avanzare delle metafore consegna attimi d’arcane gioie a chi sa intendere certe
grandi emozioni suscitate dalla poesia, dalla narrativa, dall’arte, dalla
musica. Emozioni, purtroppo, sempre più diradate al giorno d’oggi. Tuttavia,
nulla sembra sfuggire a chi, dotato d’una illimitata sensibilità, plasma il
mondo per immagini e suoni, costruendosi un universo su misura. Eppure nel
mondo s’aggira il deteriore, ciò
ch’inficia ogni forma d’esistenza. Il deteriore è usato, da tempo immemorabile,
come un’arma dai cosiddetti detrattori della vita. Questi sono individui che
tendono all’inorganico, alla distruzione, e tutto s’inimicano e tutto vogliono
cancellare dalla faccia della terra. A loro non importa la qualità di ciò che
distruggono: lo fanno e basta. È il deteriore una realtà composita, di
difficile individuazione e, ciononostante, capace di permeare tutti gli strati
dell’umana società, costringendo ad una realtà di sopravvivenza intere
generazioni ormai votate ad un materialismo spirituale. Se si vuole capire il
deteriore e il suo agire per condizionare l’universo umano è bene intenderci
sul senso che diamo a questo elemento, che definiamo appunto “materialismo
spirituale”. Quello che all’apparenza potrebbe apparire un ossimoro logico, ad
uno sguardo più profondo risalta in tutta la sua chiarezza: una volta che ci
siamo svincolati dalla vecchia concezione socialistizzata del materialismo – la
cui struttura si opponeva in modo manicheo a tutto ciò ch’era non misurabile in
termini di corporeità – possiamo ben vedere per cosa l’uomo di oggi impiega
quasi tutto il suo tempo e i suoi sforzi: gli oggetti. Oggetti di ogni tipo,
con una predilezione maniacale per la tecnologia. Questo non ha a che fare
soltanto con il senso del possesso, né con un’affermazione del proprio status
sociale. Dall’universo dell’apparire,
attraverso quello successivo del dovere,
il deteriore dell’uomo contemporaneo è giunto a quello del piacere. È questa, purtroppo, la nuda e cruda realtà: l’uomo di
oggi sembra trovare la sua soddisfazione ludica e l’appagamento di molti
istinti primari non più nel cibo, nel sesso, nell’estetica, bensì nell’acquisto
e nella partecipazione sociale di oggetti tecnologici all’avanguardia. Tutto
ciò, oltre a disumanizzare l’individuo e i suoi rapporti con gli altri, ha
creato molti epifenomeni di gravissimo impatto sul pianeta. Non è questa la
sede per affrontare problemi gravosi come l’inquinamento, il riscaldamento
terrestre, l’abbassamento della qualità della vita, lo sviluppo di vere e
proprie forme di psicosi derivanti dall’alienazione dell’individuo (alienazione
che ben lungi dall’essere superata, come taluni hanno affermato, è viva e
vegeta), ma sarebbe opportuno non distogliere lo sguardo da queste
problematiche del qui e dell’ora, la cui soluzione sembra ormai non più
procrastinabile. Tornando al nostro deteriore, non diciamo nulla di nuovo
quando affermiamo che nel tempo dei social network c’è molta più asocialità di
quanta ce ne poteva essere in una piazza dell’Ottocento, ma certi fenomeni di
dis-sociazione dell’essere umano non tendono a diminuire ma a svilupparsi. Come
ospiti parassitari della vera coscienza sociale dell’uomo, lavorano in sordina,
subdolamente. Delle volte, la decifrazione di certi comportamenti, involuzioni
e crisi dell’uomo sono talmente semplici che fatichiamo a credere alla loro semplicità. Abituati
(giustamente, per carità!) a pensare di non fermarci mai alle apparenze, spesso
cerchiamo – con uno zelo che rasenta la dietrologia – quello che non c’è.
Facciamo un esempio che ormai potrebbe apparire addirittura obsoleto: se ad un
tavolo, in un bar, ci sono sedute sei persone e queste anziché parlare,
discutere, ridere, litigare, piangere, passano il tempo ognuno col suo
smartphone, inchiodate, con la faccia all’ingiù, prive di stimoli esterni,
possiamo a ragione pensare che si stia verificando un episodio di
a-socializzazione? Se poi le persone al tavolo non sono sei ma due – magari una
coppia – la cosa appare ancora più paradossale e cinicamente disturbante. Che
la salvezza, ancora una volta, ostinatamente, risieda nel nostro riscoprirci
umani, sociali e, in barba a tutti i virtualismi, veri?
Pubblicato su SPAGINE della domenica 14, Periodico dell'Associazione Culturale Fondo Verri, 26 gennaio 2014: https://issuu.com/mmmotus/docs/spagine_della_domenica_14/1?e=0