MINIMALIA di Adriana Gloria Marigo (Campanotto Editore) - nota di Gianluca Conte su Alimede
Minimalia
di Adriana Gloria Marigo (Campanotto Editore)
«La presenza del cane di compagnia
mi fa pensare al
concetto di poesia filosofica: il
pensiero analogico
dell’animale incontra il tracciato
logico della carrareccia».
(p. 83)
«Nella mente di Dio – cioè nello stato
della mente che corrisponde all’esigenza come stato dell’essere – le esigenze
sono già appagate da tutta l’eternità» scrive Giorgio Agamben in Che cos’è la filosofia? In riferimento a
Minimalia di Adriana Gloria Marigo,
Campanotto Editore, 2017, questa citazione del filosofo di Homo Sacer non è casuale né sembri inopportuna. Nell’universo letterario-culturale
di oggi, dove ogni emanazione è già “post” rispetto a qualcos’altro, e dove tutto
sembra perdere il proprio valore non appena superato l’anno solare dall’uscita
(ammesso che qualche opera raggiunga tale “traguardo”), l’itinerario
poetico-filosofico della Marigo assurge a esigenza dissetante e apotropaica nel
deserto preconfezionato della piaggeria intellettualistica. Ecco allora che le parole
dell’autrice, scolpite nel marmo dell’intelletto, appaiono non solo puntuali ma
addirittura profetiche: «Oggi, i più, si reggono sulla menzogna: questa è
un’epoca di mendicanti» (p. 30). Non si può non essere d’accordo con questa
visione cristallina del post-umano; a
costo di apparire manichei, la scelta va fatta, con tutte le conseguenze che ne
derivano. Una nuova rinascita è sempre possibile, a patto che, facendo tesoro
della lezione eraclitea, si scenda nella profondità delle cose e non si rimanga
in superficie, con buona pace di chi ha spesso frainteso l’arcinota massima di
Wilde. Se una rinascita è possibile e plausibile, vi è altresì la possibilità
non solo di un nuovo e costante attraversamento ma anche la carezza/percossa di
una voluntas fabbricante infinite
ragioni: «M’interessa la poesia che tenta di rifondare una ontologia» (p. 50).
Per aprire nuove porte, nuove vie d’uscita – non di fuga, attenzione! – da un
universo poetico troppo spesso figlio di ego ipertrofici, l’autrice fa misura
di commistione intellettuale e sanguigna, ponendo dei capisaldi che, se
opportunamente nutriti, edificano superlative prove: «L’abbandono dei classici
genera spettri, perpetua mostri» (p. 72) e, onde fugare ogni dubbio: «L’innovazione
è visione, coraggio, onestà, poetica intellettuale» (p. 73). L’unità nel
molteplice, il molteplice nell’unità. Non una scelta univoca, totalitaria,
dunque, bensì apertura, tentativo, possibilità, ma con criterio, devozione,
applicazione, onestà, ricerca del vero. Parlare, discorrere per aforismi, per
piccoli frammenti di pensiero è incredibilmente arduo, chi vi riesce – come la
Marigo – è in grado di realizzare un’opera altamente problematica, poiché ha il
compito di semplificare concetti, idee, formule e sistemi complessi; ma non solo,
occorre che operi in piena libertà di coscienza, svincolato dalle pressioni del
mondano e dalla schiavitù semantica del nominare – «Se l’uomo [...] deve
ritrovare la vicinanza all’essere, deve prima imparare a esistere nell’assenza
di nomi», scriveva Heidegger, in tempi non sospetti, nella sua Lettera sull’«umanismo». La mia
conoscenza del percorso poetico e intellettuale di Adriana Gloria Marigo, una
conoscenza mai esaustiva, tanto è preziosa l’opera dell’autrice, e pur tuttavia
profondamente sentita, mi ha spinto a scriverne con estrema cautela, poiché il
valore intrinseco di tale cammino non può essere risolto dalle mie brevi considerazioni,
il cui fine non è altro che quello di un invito alla lettura.