CONFIGURAZIONE TUNDRA di Elena Giorgiana Mirabelli (Tunué)
Configurazione Tundra
di
Elena Giorgiana Mirabelli (Tunué)
«Io
ti vedo, Lea.
Hai
sei anni. Hai la febbre. È un periodo in cui sei spesso a casa perché
indebolita dai batteri e dalla solitudine. Perché quando si è soli a sei anni,
si sente di essere come di vetro e non se ne comprende la ragione. Cominci a
guardarti per capire cosa non vada nella tua voce, nel tuo viso, nelle mani,
nel petto».
(p. 25).
In questo asfittico momento della nostra
storia, dove a imperare in maniera indiscussa è la paura di un virus
sconosciuto, leggere un romanzo distopico può essere un toccasana. Poiché – gli
antichi ce l’hanno ben insegnato – dal tragico muoviamo verso la rinascita. A
metà tra la catarsi aristotelica e il contrappasso dantesco, un libro del
nefasto in mala tempora può aiutarci
a entrare in profondità negli individui (noi stessi) e nella società (noi
insieme agli altri). Bene, mi è piaciuto introdurre così, sideralmente, questo
pregevole (e freschissimo di stampa) romanzo di Elena Giorgiana Mirabelli, Configurazione Tundra, Tunué, 2020. Si
tratta di una storia davvero ben costruita, dove luoghi e personaggi trovano la
giusta collocazione, donando al lettore, fin dalle prime pagine, la sensazione
di far parte integrante, suo malgrado, di quel processo di straniamento che
vivono i protagonisti del romanzo. Su tutte, si staglia la figura di Marta
Fiani, l’architetto, che si mantiene in un limbo tra l’essere una sorta di “master of puppets” e una persona che, a sua
volta, subisce il fascino di chi (o cosa) è al di sopra di lei.
«La
sicurezza era la condizione di possibilità della città stessa. Il Modello
prevedeva che il confine non fosse visibile perché avrebbe generato ansia. Gli
abitanti di Tundra dovevano percepire estensione, ampiezza, orizzonti lontani.
Convinti di poter andare ovunque e certi di non volersi allontanare troppo».
(p. 35)
Cosa desiderava, dunque, questo
architetto “dell’esistenza”, questa “mente superiore” al contempo così volitiva
e spaesata? Sicurezza, tranquillità. Ma se già Nietzsche aveva intuito che il
prezzo della sicurezza di una società è altissimo in termini di spontaneità e
istintività, nel romanzo di Mirabelli la questione viene attualizzata e affrontata egregiamente, poiché
da ogni pagina trasuda lo stato di alienazione/annientamento che l’umano deve –
o vuole? – sopportare se non trova il modo di emanciparsi da un tale costrutto
onnisciente e onnipresente.
«È
un quaderno pieno di scomposizioni e bugie. Di grandi slanci e cadute umorali,
autocommiserazioni e pornografie. Capisco che gli oggetti trovati hanno un
ruolo, una MiniDv potrebbe essere fra i libri e decido che la prenderò e la
guarderò. E poi mi sentirò in colpa. Ne troverò altri. Li guarderò e mi
abituerò, come a questa casa. Come al tragitto del lavoro e quello dell’Altrove».
(p. 53)
Immersi in una realtà alternativa, seguendo
un percorso ansiogeno che ricorda, a tratti, la improbabile, fanatica e
disumana ricerca nazista del Lebensraum,
a tratti il film Le vite degli altri,
dove tutti, indistintamente, possono essere spiati e pesantemente redarguiti (o
eliminati), coloro i quali vivono (o esistono?) in una condizione che
difficilmente può essere considerata umana – perlomeno secondo il canone comune
di intendere l’umano – in una città vivente e operante, che sembra godere di
vita propria, al di là degli individui che la abitano, sembrano non opporre
alcun tipo di resistenza a tale condizione. Tuttavia, qualcuno ha ancora il
coraggio di guardare dove non è permesso, dove ai più, ormai assuefatti e/o
impauriti, “non conviene” posare i propri occhi. Bisogna guardare perché è
necessario, perché proprio in quei sentimenti, emozioni, ricordi, azioni,
parole, si ritrova una radice di umanità. Così, attraverso gli occhi e gli
orecchi di Lea, figlia di Marta, dei suoi pensieri impressi sugli oggetti, a
loro volta, filtrati da un’altra, centrale coscienza del romanzo, quella della
protagonista narrante, il lettore entra a fondo nell’universo-altro creato da
Mirabelli, un mondo angosciante e, a un tempo, pregno di avanguardistico
fascino e di delicata sensibilità. Infine, ciò che di Configurazione Tundra ha destato il mio vivo interesse è il respiro
di fondo del romanzo, che si lega, davvero mirabilmente, all’attuale condizione
psicosociale e all’odierno concepire luoghi d’isolamento o non-luoghi dove
l’individuo conserva a fatica la propria essenza.