APOLOGIA DI HEGEL

 


Apologia di Hegel

 

La filosofia di Hegel, soprattutto per via della sua complessità e del suo tecnicismo, è stata spesso fraintesa e, di conseguenza, criticata e perfino snobbata. Alcune critiche, però, appaiono forzate, quando non faziose, in particolare quelle rivolte ai concetti di «Stato» e di «Storia», alla presunta autoreferenzialità dell’autore e alla struttura, per alcuni eccessivamente circolare, di opere come la Fenomenologia dello spirito e la Scienza della logica. Altro elemento di confusione deriva dall’interpretazione plurale della produzione filosofica del pensatore di Stoccarda, a partire dalla Sinistra e dalla Destra hegeliane. Posizioni molto distanti fra loro, come quelle di L.A. Feuerbach e C.H. Weisse, hanno contribuito in modo sostanziale ad accrescere le difficoltà interpretative dei suoi scritti, alle quali vanno aggiunti alcuni tentativi, alle volte alquanto maldestri, di strumentalizzare il pensiero del filosofo. Non ultima, poi, una certa insofferenza nei confronti della sistematicità del suo pensiero, quasi che l’essere sistematici fosse da considerare necessariamente una colpa. A rendere ancora più complesso il quadro è l’utilizzo in chiave tecnica, da parte di Hegel, di determinati concetti e termini, tra cui quelli di «Spirito» e di «Idea», che nella ricerca hegeliana perdono quasi del tutto le loro accezioni comuni. Tuttavia, al di là delle evidenti problematicità che i testi hegeliani presentano, non si può prescindere dal confrontarsi con il suo pensiero, questo non solo perché altrimenti non si potrebbero affrontare con la dovuta dovizia autori come Nietzsche, Marx, Schopenhauer e Kierkegaard (solo per citarne alcuni), ma soprattutto perché sarebbe arduo eludere alcune intuizioni hegeliane, come ad esempio il discorso dialettico relativo alla figura «servo-padrone» o quello che concerne lo «Stato etico». Fare a meno di Hegel significherebbe tagliare le gambe sia ai «maestri del sospetto», tenuti in così grande considerazione dentro e fuori il mondo accademico, sia a chiunque sia interessato a comprendere meglio le problematiche (non solo filosofiche) lasciate aperte sul finire dell’Ottocento: idealismo, militarismo, razzismo, irrazionalismo, imperialismo, colonialismo, liberalismo, socialismo, cambiamenti politico-sociali e culturali. Sminuire la portata della sua ricerca e della sua persona, facendone quasi una figura caricaturale (un giorno mi è stato riferito, con un certo sarcasmo, che «Hegel se la canta e se la suona da solo»), è non solo riduttivo ma, in qualche modo, oltraggioso per la storia della filosofia. D’altronde, uno dei più grandi abbagli, di cui alcuni suoi «interpreti» sono stati vittime, parte proprio dal modo in cui viene percepito lo stesso idealismo hegeliano, cioè come una filosofia che ripudierebbe la realtà concreta per abbracciarne una intangibile e potenzialmente immaginaria, che si servirebbe dello Spirito assoluto come una sorta di «velo» atto ad eclissare il mondo sensibile dietro quello idealistico. Ebbene, forse sarebbe il caso di ricordare che l’idealismo hegeliano non rifiuta tout court la realtà materiale, bensì lega quest’ultima a un processo storico-dialettico riguardante lo Spirito. Secondo il filosofo della Phänomenologie des Geistes, la realtà è un elemento che «viene pensato», per cui possiede la caratteristica della «concettualità». La realtà empirica, cioè, è «compresa» nella realtà assoluta, ovvero lo Spirito. Per intendersi, il filosofo non smentisce il fatto che un determinato oggetto sia concreto, tangibile. Un tavolo, una penna, un quaderno fanno parte della nostra esperienza in modo incontestabile. In altri termini, ce ne serviamo ogni giorno. Tuttavia, Hegel afferma che tali oggetti possono essere intesi nella loro interezza, soltanto se sono collocati in un «contesto idealistico», di cui lo Spirito è massima espressione. Egli, dunque, non nega l’oggettità del tavolo, ma sottolinea che questa, per essere pienamente compresa, deve essere considerata come parte di un sistema più ampio, come un elemento connesso a un «momento» dello Spirito. È probabile che la complessità del sistema universale e onnicomprensivo edificato da Hegel possa spaventare alcuni fruitori abituati a una certa semplicità e fluidità manichea nonché a un atteggiamento oppositivo rispetto a ogni tentativo di sistematicità costruttiva. Sarà un caso che coloro che tengono Hegel a distanza di sicurezza siano estimatori di Schopenhauer e Kierkegaard e Marx? Ciò che lascia perplessi è l’ingenuità (o forse è parzialità?) di chi, amando i suddetti filosofi, non comprende, o non vuole comprendere, che il loro pontificare è stato possibile soltanto dopo un confronto con il mastodontico sistema hegeliano. Come dire: se critico qualcuno, devo almeno conoscerlo. Ed è qui che si apre un’altra criticità: chi, ritenendosi conoscitore e ammiratore della filosofia antihegeliana, non conosce Hegel, potrebbe incorrere in degli abbagli, quando non in veri e propri errori. D’altronde, tra gli antihegeliani viene spesso annoverato (che imprudenza!) Marx, che della lezione di Hegel ha fatto tesoro. Non stupisce, dunque, che tra i malintesi più eclatanti vi sia quello che riguarda la concezione hegeliana della Storia. Per il semplice fatto che il filosofo vedesse nella Storia il graduale compimento dello Spirito assoluto, egli è stato spesso accusato di giustificazionismo: insomma, secondo alcuni, tutto il ragionamento di Hegel altro non sarebbe che una giustificazione acritica del presente. Le cose, con buona pace dei suoi detrattori, non stanno proprio così. Hegel non opera un’apologia dogmatica del presente, ma ritiene questa dimensione come funzionale e necessaria nel complesso dialettico della Storia. Insomma, anche questo passo della filosofia hegeliana risente di quella progressione che, per comodità, chiamiamo triadica, cioè, «tesi-antitesi-sintesi», la quale prevede un’opposizione e un superamento. È bene sottolineare che per Hegel la sintesi non è mai un ritorno alla tesi, ma, appunto, un superamento, qualcosa che «aggiunge» nuovi elementi alla condizione di partenza. Occorre tener presente ciò se non vogliamo incappare in un altro fraintendimento, ovvero quello che concerne il conservatorismo di Hegel. Egli, difatti, non redige un’apologia della staticità dell’ordine politico preesistente, non si fa portavoce delle forze che rimangono ostili a ogni mutamento. Tutt’altro, il filosofo è cosciente che ogni assetto politico-sociale può essere migliorato, ma un eventuale cambiamento deve avvenire in maniera razionale, cercando di mantenere un perfetto equilibrio tra le istanze di cambiamento e l’ordine costituito. Hegel non difende il presente a tutti i costi, non si spiegherebbe altrimenti il ruolo che egli fa assumere ai personaggi «cosmico-storici» come Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, figure straordinarie che hanno rivoluzionato lo Stato, la politica, la società, cambiando, di fatto, l’ordine costituito per raggiungerne un altro migliore, più evoluto, più consono ai tempi.   

 

 

 

 

 

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